NUOVA ZELANDA (3-4-3): Paston; Reid, Nelsen, Smith; Bertos, Vicelich (dal 33' st Christie), Elliott, Lochhead; Killen (dal 26' st Wood), Fallon, Smeltz. (Moss, Bannatyne, Sigmund, Brown, Barron, McGlinchey, Clapham, Mulligan, Boyens, Brockie). All. Ricki Herbert.
SLOVACCHIA (4-4-2): Mucha; Zabavnik, Durica, Skrtel, Cech; Weiss (dal 46' st Kucka), Strba, Hamsik, Jendrisek; Vittek (dal 38' st Stoch), Sestak (dal 35' st Holosko). (Pernis, Kuciak, Pekaric, Kozak, Sapara, Pernis, Jakubko, Kopunek, Salata, Petras). All. Vladimir Weiss.
ARBITRO: Jerome Damon (Sudafrica).
NOTE - Spettatori: 23.871. Ammoniti Lochhead, Strba per gioco scorretto e Reid per c.n.r. Angoli: 9-3 per la Slovacchia. Recuperi 1' e 3'.
Se il regolamento FIFA non fosse cambiato e l'Australia avesse continuato ad essere inserita nella zona oceanica invece che in quella asiatica, la Nuova Zelanda non avrebbe mai conquistato il pass per il secondo Mondiale della sua storia, dopo la prima storica partecipazione datata 1982. Gli All Whites non solo sono stati bravi a sfruttare l'occasione, qualificandosi abbastanza agevolmente ai danni del Bahrain, ma sono addirittura riusciti nell'impresa di pareggiare all'esordio contro la più quotata Slovacchia, ottenendo così il primo punto in una fase finale della Coppa del Mondo. Chi si aspettava un futuro da vittima sacrificale s'è - almeno in parte - sbagliato e deve recitare il mea culpa, perchè i Kiwi, pur denotando degli evidenti e grossolani limiti, hanno assolutamente meritato l'1-1 strappato nel finale a quella che era l'unica esordiente assoluta di Sudafrica 2010. Grande delusione per gli uomini di Vladimir Weiss, che in ottica passaggio del turno si sono probabilmente scavati la fossa da soli e che non sono apparsi mai brillanti, sebbene avessero la qualità (non eccelsa, intendiamoci, ma sufficiente per uscire da Rustenburg con il bottino pieno sì) per vincere con due-tre gol di scarto. Ed invece Hamsik e compagni hanno sbagliato tutto: a partire dall'approccio alla gara, nel quale ha influito una normale emozione, fino ad arrivare alla pessima gestione del vantaggio, ottenuto peraltro con un gol irregolare (il bomber Vittek era infatti davanti a tutti sul cross del compagno di reparto Sestak). Se erano pronosticabili le difficoltà avute nel primo tempo, era lecito attendersi che una volta portatasi in vantaggio la Slovacchia avrebbe avuto vita facile. Ma così non è stato, i giocatori in maglia blu si sono seduti, hanno smesso con il passare dei minuti di attaccare e si sono accontentati di mantenere il risultato di 1-0 fino al fischio finale. Un atteggiamento contestabile, che ha giustamente punito coloro che per arrivare all'appuntamento con la storia avevano messo in fila nel girone eliminatorio nazionali come Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia ed Irlanda del Nord.
ALBERTO FARINONE
Deludente Slovacchia. Non convince né quando deve cercare il vantaggio né quando, una volta raggiunto, lo deve gestire. Weiss aveva scelto una formazione sulla carta piuttosto offensiva, con due punte, un solo centrocampista difensivo (Strba) più Hamsik e due esterni alti, Jendrisek a sinistra e Weiss figlio a destra. La Nuova Zelanda mantiene il 3-4-3, ma con la correzione di Vicelich (difensore di ruolo), avanzato a centrocampo. La caratteristica tattica più interessante dei Kiwi sono le tre punte autentiche, ed è curioso che a proporle sia la squadra teoricamente più scarsa proprio nel mondiale finora del difensivismo più superficiale. Killen, Fallon e Smeltz sono vere punte perché giocano sempre vicine, senza tornanti mascherati: quando la squadra è in fase di possesso questo permette di semplificare il gioco, perché se cerchi una palla alta ci sono sempre altri due giocatori vicini pronti a raccogliere la spizzata; in fase di non possesso invece gli attaccanti tendono a disturbare l’inizio dell’azione avversaria rimanendo abbastanza stretti centralmente.
Ciò potrebbe rappresentare un vantaggio per una Slovacchia in grado di cambiare rapidamente gioco da un lato all’altro, perché costringerebbe gli esterni di difesa e centrocampo neozelandesi a scalare in maniera uin po’ affannosa e aprire di conseguenza qualche varco centrale, ma non avviene nulla di tutto questo, perché l’inizio dell’azione slovacca non decolla mai. Troppo lento, la Nuova Zelanda ha tutto il tempo per chiudere con gli spostamenti laterali e centralmente è corta e non lascia possibilità al di là della palla lunga o dello spunto puramente individuale dell’estroso Weiss.
Proprio da Weiss parte l’azione che nel secondo tempo sveglia la Slovacchia e sblocca la partita, sul buon cross di Sestak che a dirla tutta però pesca Vittek in una posizione di fuorigioco non ravvisata dall’arbitro.
La Slovacchia però arretra troppo il baricentro, non chiude su quei contropiedi che riesce a costruire e permette alla Nuova Zelanda di meritarsi il suo sudato, storico pareggio. I Kiwi hanno proposto un calcio banale, inevitabile date le qualità tecniche, ma paziente e non pavido, logico, lineare, con appoggi semplici ma sempre disponibili e buone spaziature in fase di possesso, ovviamente fino all’immancabile cross dalla trequarti, che è il massimo che questa squadra sa esprimere. Intanto però uno Reid lo ha già buttato dentro.
VALENTINO TOLA
ALBERTO FARINONE
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Deludente Slovacchia. Non convince né quando deve cercare il vantaggio né quando, una volta raggiunto, lo deve gestire. Weiss aveva scelto una formazione sulla carta piuttosto offensiva, con due punte, un solo centrocampista difensivo (Strba) più Hamsik e due esterni alti, Jendrisek a sinistra e Weiss figlio a destra. La Nuova Zelanda mantiene il 3-4-3, ma con la correzione di Vicelich (difensore di ruolo), avanzato a centrocampo. La caratteristica tattica più interessante dei Kiwi sono le tre punte autentiche, ed è curioso che a proporle sia la squadra teoricamente più scarsa proprio nel mondiale finora del difensivismo più superficiale. Killen, Fallon e Smeltz sono vere punte perché giocano sempre vicine, senza tornanti mascherati: quando la squadra è in fase di possesso questo permette di semplificare il gioco, perché se cerchi una palla alta ci sono sempre altri due giocatori vicini pronti a raccogliere la spizzata; in fase di non possesso invece gli attaccanti tendono a disturbare l’inizio dell’azione avversaria rimanendo abbastanza stretti centralmente.
Ciò potrebbe rappresentare un vantaggio per una Slovacchia in grado di cambiare rapidamente gioco da un lato all’altro, perché costringerebbe gli esterni di difesa e centrocampo neozelandesi a scalare in maniera uin po’ affannosa e aprire di conseguenza qualche varco centrale, ma non avviene nulla di tutto questo, perché l’inizio dell’azione slovacca non decolla mai. Troppo lento, la Nuova Zelanda ha tutto il tempo per chiudere con gli spostamenti laterali e centralmente è corta e non lascia possibilità al di là della palla lunga o dello spunto puramente individuale dell’estroso Weiss.
Proprio da Weiss parte l’azione che nel secondo tempo sveglia la Slovacchia e sblocca la partita, sul buon cross di Sestak che a dirla tutta però pesca Vittek in una posizione di fuorigioco non ravvisata dall’arbitro.
La Slovacchia però arretra troppo il baricentro, non chiude su quei contropiedi che riesce a costruire e permette alla Nuova Zelanda di meritarsi il suo sudato, storico pareggio. I Kiwi hanno proposto un calcio banale, inevitabile date le qualità tecniche, ma paziente e non pavido, logico, lineare, con appoggi semplici ma sempre disponibili e buone spaziature in fase di possesso, ovviamente fino all’immancabile cross dalla trequarti, che è il massimo che questa squadra sa esprimere. Intanto però uno Reid lo ha già buttato dentro.
VALENTINO TOLA
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LA SALVEZZA ARRIVA DAL CIELO!
Da tempo gli avvoltoi "kiwis" si aggiravano sinistri nei trenta metri slovacchi, la puzza della carogna slava in avanzato stato di decomposizione si faceva via via più penetrante e siccome le cose viste dall'alto, non solo si vedono meglio, ma fanno anche meno paura, i rugbysti prestati al Dio pallone (rotondo), all'ennesima mischia aerea hanno acciuffato un pari tardivo ma giusto in tempo per diventare storico, come il primo punto colto ai mondiali (due partecipazioni). Winston Reid del Midtjylland danese, difensore per professione, lottatore per indole, da oggi icona per la storiografia calcistica neozelandese.
Punto meritato sia ben chiaro, maturato con la non-tattica della palla buttata in mezzo da trequarti, ma costruito sull'audacia di un 3-4-3 iniziale spregiudicato e contronatura per le corde della nazionale meno qualitativa di questi mondiali, presente grazie solo al cervellotico gioco geopolitico delle qualificazioni mondiali che ha visto i transfughi australiani aderire al continente asiatico e liberare il pass per il play-off oceanico ai ragazzi di Wellington. Pass ottenuto non senza sudare con il non irresistibile Bahrein in un doppio scontro in cui gli arabi hanno molto da rimpiangere contabilizzando le numerose occasioni dilapidate.
Una Nuova Zelanda dal gioco molto classico e privo di ogni fronzolo superfluo per giocatori dalla tecnica di base limitatissima e dal pedigree ancor più modesto. Palla fatta circolare con discreta velocità col piatto del piede senza saltare il centrocampo, linee vicine, grande corsa ed abnegazione, appena ce n'è la possibilità, palla catapultata a centro area per la giocata aerea oppure qualche rara entrata centrale. Un primo tempo sostanzialmente appannaggio degli australi che devono però fare i conti con il portiere (!) Paston, uomo-pathos non richiesto dai 4.250.000 abitanti dell'isola pacifica.
La Slovacchia si crogiola sul fatto che prima o poi il gol arriverà, così come accade al 5° della ripresa benché la rete sia da annullare per palese fuorigioco del marcatore Vittek.
Sembra poter controllare la gara, ed anzi, visto le dinamiche del giorne e la regola per il passaggio del turno, un secondo gol sarebbe gradito, ma per due volte Sestak perde l'attimo e quindi Reid al 93 sull'ennesima incursione aerea del finale di gara riscrive la storia calcistica del paese e manda un messaggio alle prossime due rivali del girone meno qualitativo del mondiale: se la partita verrà tenuta in bilico sino all'ultimo la contraerea di rugbysti neozelandese potrebbe di nuovo arrivare a sorvolare nell'alto dei cieli...
VOJVODA
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In un Mondiale fin qui dominato dalle cadenze latine e sudamericane con tanto calcio ragionato (anche fin troppo) e ritmi lenti, arriva una piccola ventata di britannicità con la Nuova Zelanda, non a caso una Nazione di chiaro stampo britannico e una Nazionale con tanti elementi in qualche modo legati al calcio britannico: un gioco leggermente più diretto (anche se in alcuni casi la squadra è andata a girare il pallone un po’ eccessivamente, visto che ciò avveniva con poca qualità) e molto più fisico, che regala perlomeno uno spiraglio diverso a chi ama questo tipo di calcio. Non tutto è perfetto, visto che (ovviamente) il livello tecnico è bassino e visto che la squadra di Herbert non riesce a tenere mai dei ritmi alti (che si sposano un po’ meglio a questo stile di gioco), ma in ogni caso gli All Whites fanno la loro figura, strappando in qualche modo anche un punticino storico, il primo della loro storia ai Mondiali: la Nuova Zelanda aveva giocato infatti anche a Spagna ’82, fermandosi al primo girone con tre sconfitte su tre contro la Scozia (2-5), Unione Sovietica (0-3) e Brasile (0-4), in una squadra che schierava in difesa il 21enne Ricki Herbert, adesso ct nella seconda avventura mondiale.
In tanti vedevano negli All Whites la cenerentola della competizione, il che in un Mondiale di così basso livello tecnico generale (soprattutto, ad essere bassissima è l’organizzazione offensiva, che rende il gioco di un po’ tutte le squadre parecchio casuale e le partite totalmente sonnolenti) assumeva contorni paurosi, ma come prevedibile la Nuova Zelanda non è una squadra che può mettere nel mirino il sorprendente passaggio del turno (pure nel girone più “debole” degli otto) ma è una Nazionale davvero dignitosa, grazie anche alla consapevolezza dei limiti tecnici che ha permesso all’undici di Herbert di giocare con buon agonismo. Per lo stile, sembrava poi di vedere una squadra di Football League giocare i Mondiali, non proprio un paragone azzardatissimo visto che una manciata degli elementi visti in campo ha giocato proprio nelle serie minori inglesi, dove giocando ancora il centrale sinistro Tommy Smith (con l’Ipswich) e i centravanti Rory Fallon (al Plymouth retrocesso in League One) e Chris Killen (al Middlesbrough), oltre all’interessante Chris Wood subentrato dalla panchina e promosso in Premier League con il West Bromwich (tra gli esclusi della lista dei 23 c’è anche la punta Kris Bright, che milita addirittura nello Shrewsbury, in League Two).
Il modulo usato sempre da Herbert è un 3-4-3 che costringe ai centrocampisti un lavoro di grande sacrificio, visto che in avanti vengono utilizzati tre attaccanti piuttosto statici che tendono a rientrare poco e che vengono serviti solitamente con palloni lunghi o cross (alternativamente dalla trequarti o raramente dal fondo): proprio le spizzate e le sponde delle punte sono la principale fonte di pericolo e nel primo tempo non è annullata particolarmente bene dalla Slovacchia, che soffre nel primo quarto d’ora e in parte negli ultimi 10 minuti. Nel secondo tempo invece dopo il gol di Vittek, la Nuova Zelanda sembrava avere poca vitalità, ma in qualche modo ha continuato a crederci e a sfruttare le palle alte per creare una buona occasione (sprecata da Smeltz) e il gol dell’1-1, realizzato dal giovane difensore centrale Winston Reid. Ad alimentare il gioco è soprattutto Simon Elliott, 36enne che arriva ai Mondiali da “Unattached”, ovvero senza squadra visto che lo scorso Marzo è stato svincolato dai San Josè Earthquakes, squadra di MLS: una delle tante storie particolari che accompagnano la Nuova Zelanda a questi Mondiali. Non particolarmente elegante, Elliott riesce a lavorare comunque un alto numero di palloni, cercando il lancio o l’appoggio degli esterni: Bertos a destra e Lochhead a sinistra non sono particolarmente tecnici ma il loro compito è quello di correre continuamente, sdoppiandosi nel lavoro difensivo e in quello di spinta per servire qualche cross alle punte. Con l’unico compito di giocare basso e vicino alla difesa, il centrocampo è completato da Ivan Vicelich, che si incarica di un lavoro piuttosto oscuro. Non c’è nulla di particolarmente fine sul piano tattico, ma la Nuova Zelanda riesce ad essere efficace, dando filo da torcere alla Slovacchia fino all’ultimo, quando poi è arrivato un pareggio anche abbastanza meritato.
Il grande lavoro di sponda delle punte però dovrebbe essere accompagnato con un pizzico di incisività in più in avanti: il “secondo pallone” probabilmente dovrebbe esser attaccato con più determinazione dai tre attaccanti. Piuttosto deludente è Chris Killen, che nell’ultimo periodo è entrato abbastanza in crisi e non ha dato alcun rendimento alla squadra: probabilmente per le prossime partite sarebbe il caso di puntare sul fisico più esplosivo (anche se ancora tutto da affinare) di Wood.
Davvero poco interessante e poco convincente la Slovacchia, che mai ha saputo tenere in mano le operazioni a centrocampo, non riuscendo mai a sfruttare la maggiore qualità di Hamsik. In tanti si aspettavano il 4-2-3-1 con un centrocampo più folto e l’esclusione dell’appannato Vittek, ma Weiss senior opta per il 4-4-2 e conferma il modulo che ha portato la Slovacchia alla qualificazione: il modulo non è accompagnato da una reale volontà positiva nella creazione di gioco, con la squadra che è poco vivace e che dopo il vantaggio finisce per addormentarsi, puntando unicamente a difendere l’1-0 con un atteggiamento abbastanza negativo che alla fine viene giustamente punito dal gol del pareggio. Lì è stato sbagliato tutto, perché il trend della partita sembrava chiaramente in mano alla Slovacchia, che però non ha provato la partita e ha finito per permettere alla Nuova Zelanda di riorganizzare le idee.
SILVIO DI FEDE
In tanti vedevano negli All Whites la cenerentola della competizione, il che in un Mondiale di così basso livello tecnico generale (soprattutto, ad essere bassissima è l’organizzazione offensiva, che rende il gioco di un po’ tutte le squadre parecchio casuale e le partite totalmente sonnolenti) assumeva contorni paurosi, ma come prevedibile la Nuova Zelanda non è una squadra che può mettere nel mirino il sorprendente passaggio del turno (pure nel girone più “debole” degli otto) ma è una Nazionale davvero dignitosa, grazie anche alla consapevolezza dei limiti tecnici che ha permesso all’undici di Herbert di giocare con buon agonismo. Per lo stile, sembrava poi di vedere una squadra di Football League giocare i Mondiali, non proprio un paragone azzardatissimo visto che una manciata degli elementi visti in campo ha giocato proprio nelle serie minori inglesi, dove giocando ancora il centrale sinistro Tommy Smith (con l’Ipswich) e i centravanti Rory Fallon (al Plymouth retrocesso in League One) e Chris Killen (al Middlesbrough), oltre all’interessante Chris Wood subentrato dalla panchina e promosso in Premier League con il West Bromwich (tra gli esclusi della lista dei 23 c’è anche la punta Kris Bright, che milita addirittura nello Shrewsbury, in League Two).
Il modulo usato sempre da Herbert è un 3-4-3 che costringe ai centrocampisti un lavoro di grande sacrificio, visto che in avanti vengono utilizzati tre attaccanti piuttosto statici che tendono a rientrare poco e che vengono serviti solitamente con palloni lunghi o cross (alternativamente dalla trequarti o raramente dal fondo): proprio le spizzate e le sponde delle punte sono la principale fonte di pericolo e nel primo tempo non è annullata particolarmente bene dalla Slovacchia, che soffre nel primo quarto d’ora e in parte negli ultimi 10 minuti. Nel secondo tempo invece dopo il gol di Vittek, la Nuova Zelanda sembrava avere poca vitalità, ma in qualche modo ha continuato a crederci e a sfruttare le palle alte per creare una buona occasione (sprecata da Smeltz) e il gol dell’1-1, realizzato dal giovane difensore centrale Winston Reid. Ad alimentare il gioco è soprattutto Simon Elliott, 36enne che arriva ai Mondiali da “Unattached”, ovvero senza squadra visto che lo scorso Marzo è stato svincolato dai San Josè Earthquakes, squadra di MLS: una delle tante storie particolari che accompagnano la Nuova Zelanda a questi Mondiali. Non particolarmente elegante, Elliott riesce a lavorare comunque un alto numero di palloni, cercando il lancio o l’appoggio degli esterni: Bertos a destra e Lochhead a sinistra non sono particolarmente tecnici ma il loro compito è quello di correre continuamente, sdoppiandosi nel lavoro difensivo e in quello di spinta per servire qualche cross alle punte. Con l’unico compito di giocare basso e vicino alla difesa, il centrocampo è completato da Ivan Vicelich, che si incarica di un lavoro piuttosto oscuro. Non c’è nulla di particolarmente fine sul piano tattico, ma la Nuova Zelanda riesce ad essere efficace, dando filo da torcere alla Slovacchia fino all’ultimo, quando poi è arrivato un pareggio anche abbastanza meritato.
Il grande lavoro di sponda delle punte però dovrebbe essere accompagnato con un pizzico di incisività in più in avanti: il “secondo pallone” probabilmente dovrebbe esser attaccato con più determinazione dai tre attaccanti. Piuttosto deludente è Chris Killen, che nell’ultimo periodo è entrato abbastanza in crisi e non ha dato alcun rendimento alla squadra: probabilmente per le prossime partite sarebbe il caso di puntare sul fisico più esplosivo (anche se ancora tutto da affinare) di Wood.
Davvero poco interessante e poco convincente la Slovacchia, che mai ha saputo tenere in mano le operazioni a centrocampo, non riuscendo mai a sfruttare la maggiore qualità di Hamsik. In tanti si aspettavano il 4-2-3-1 con un centrocampo più folto e l’esclusione dell’appannato Vittek, ma Weiss senior opta per il 4-4-2 e conferma il modulo che ha portato la Slovacchia alla qualificazione: il modulo non è accompagnato da una reale volontà positiva nella creazione di gioco, con la squadra che è poco vivace e che dopo il vantaggio finisce per addormentarsi, puntando unicamente a difendere l’1-0 con un atteggiamento abbastanza negativo che alla fine viene giustamente punito dal gol del pareggio. Lì è stato sbagliato tutto, perché il trend della partita sembrava chiaramente in mano alla Slovacchia, che però non ha provato la partita e ha finito per permettere alla Nuova Zelanda di riorganizzare le idee.
SILVIO DI FEDE
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