DANIMARCA (4-2-3-1): Sorensen; Jacobsen, Agger, Kroldrup (dall’11’ s.t. Larsen), S. Poulsen; C. Poulsen, Jorgensen (dal 34’ p.t. J. Poulsen); Rommedahl, Tomasson, Kahlenberg (dal 18’ s.t. Eriksen); Bendtner. (Andersen, Christensen, Kvist, Mtiliga, Jensen, Gronkjaer, Enevoldsen, Beckmann). All.: Olsen .
GIAPPONE (4-1-4-1): Kawashima; Komano, Nakazawa, Tanaka, Nagatomo; Abe; Matsui (dal 29’ s.t. Okazaki), Hasebe, Endo, Yo. Okubo (dal 43’ s. t. Konno); Honda. (Narazaki, Eiji, Kawaguchi, Yuji, Yuichi, Iwamasa, Yuto, Uchida, S. Nakamura, K. Nakamura, Inamoto, Tamada). All.: Okada.
ARBITRO: Damon (Sudafrica).
NOTE: spettatori 27.967. Ammoniti Kroldrup, Bendtner, C. Poulsen per gioco scorretto; Endo, Nagatomo per comportamento non regolamentare . Angoli 6-4. Tiri in porta 5 (1 traversa)-8 (1 palo). Tiri fuori 5-4. In fuorigioco 0-3. Recuperi: 2’ p.t. 4’, s.t..
Ve li ricordate i Gremlins? Ecco.
Nei mondiali precedenti i giocatori giapponesi sembravano tanti Gizmo, simpatici, graziosi (quelli di Nakata prima e di Ono e Nakamura erano piedi indiscutibilmente buoni), ma incapaci di fare del male ad una mosca. Ma prima di questo mondiale qualcosa deve essere successo. Qualcuno, forse Takeshi Okada o forse chissà chi altro, deve aver fatto entrare i Gizmo in contatto con l’acqua, o deve avergli dato da mangiare dopo mezzanotte. Perché questi improvvisamente sono diventati aggressivi, molto più cattivi, e soprattutto, hanno cominciato a moltiplicarsi in maniera incontrollata. In ogni zona del campo. Dove c’è il pallone, stai sicuro che c’è almeno una, se non due, maglie blu in più. È un Giappone che fa la differenza rispetto al passato sul piano della consistenza atletica, della saldezza difensiva e della mentalità, pur restando una squadra con le sue buone lacune (a mio avviso sfavorita nell’ottavo pur non squilibrato col Paraguay).
Prima però bisogna dire che non è stato tutto rose e fiori nella partita dei Samurai, che hanno sofferto prima di passare in vantaggio, specialmente nei venti minuti iniziali. Perché se quella di ieri è stata una della partite più belle e intense del mondiale il merito in parte è anche di una Danimarca che non può uscire senza dire di essersela giocata a testa alta.
L’approccio alla partita degli uomini di Morten Olsen era stato ottimo, propositivo e con un ritmo e geometrie in grado di mettere in difficoltà anche il tentacolare sistema difensivo giapponese, che inizialmente faceva fatica a seguire le costanti sovrapposizioni dei danesi sulle fasce. Ma la Danimarca era partita sfruttando bene tutto il campo, con ottimi movimenti anche centralmente, con un attaccante che a turno veniva incontro e l’altro che scattava alle spalle della difesa avversaria, questo per impedire sempre al Giappone di accorciare come sa fare. Tomasson e Bendtner sempre intelligenti nell’aprire spazi e smarcarsi, anche se poi la mira è un’altra storia…
Ma la partita è cambiata radicalmente con le due punizioni capolavoro di Honda ed Endo (pur senza negare le responsabilità di Sorensen sul primo gol). Allora i Gremlins hanno potuto imporre la loro legge, registrando le posizioni nella propria metacampo (corrono tantissimo, ma anche meno di quanto sembra, perché le distanze da coprire per il singolo giocatore non sono esagerate) e puntando su un contropiede manovrato notevole per il dinamismo di tutti gli interpreti e anche per la buona qualità di palleggio.
Com’è allora questo Giappone che arriva per la seconda volta agli ottavi di un Mondiale?
È una squadra che basa le sue chances su una grande organizzazione difensiva. Quattro/uno/quattro/uno, baricentro basso, pressing infernale una volta che l’avversario raggiunge il cerchio di centrocampo, contropiede che comunque coinvolge un buon numero di giocatori (fino a 5), con tutta la squadra che accompagna e rimane lì per portare di nuovo il pressing e magari riconquistare palla subito nella trequarti avversaria. Una squadra molto equilibrata perché fluida nelle transizioni, sempre già organizzata per la fase successiva, tendenzialmente difensiva, chiaro, ma che sicuramente si staglia sopra il difensivismo rozzissimo e arcaico emerso in troppe squadre di questo mondiale, quel difensivismo che semplicemente si propone di buttare il pallone avanti, mandarne uno-due nella metacampo avversaria e il resto che aspetta tutto dietro per non scoprirsi a palla persa.
Ha colpito favorevolmente la concentrazione di tutto il blocco difensivo, una zona applicata come si deve (Stefano Nava in telecronaca dice giustamente “c’è da imparare da questi giapponesi”), mai imbastardita da cose tipo marcature a tuttocampo più appariscenti che utili.
Un vantaggio rispetto alle edizioni precedenti del Giappone poi è la maggiore fisicità dei difensori centrali: niente più nani da giardino, Nakazawa e Tanaka sono tosti (anche se è chiaro che Bendtner i centimetri li dà a tutti). Qualche pecca però rimane (e ci mancherebbe altro!): in particolare i difensori giapponesi sono precisissimi nei movimenti ad accorciare, nell’anticipo o nello slittamento laterale, attentissimi a garantirsi la copertura reciproca, però tendono a soffrire sui palloni alle loro spalle, non sempre il posizionamento è quello giusto. Tomasson e Bendtner hanno già evidenziato qualcosa ieri, e c’è da pensare che possano fare la stessa gli attaccanti paraguaiani, anche loro validissimi nel gestirsi quegli spazi.
Un altro punto a favore del Giappone è il centrocampo, capace sempre di proporre oltre che distruggere. Abe è il riferimento davanti alla difesa, Endo il giocatore più di regia, Hasebe più dinamico (ma non privo di tecnica) e anche portato all’inserimento, Matsui a destra ha corsa ma anche senso del gioco nel dialogare con Honda per linee interne e preparare le sovrapposizioni di Komano (che non mancano mai quando c’è la possibilità, come per Nagatomo a sinistra, anche se entrambi i terzini sono più di quantità che altro, bisogna dirlo). Okubo a sinistra è il più limitato, come qualità tecnica e anche come lettura del gioco, ma ha un dinamismo indiavolato ed è il più verticale dei giocatori a supporto dell’attacco, con qualche diagonale interessante (è destro) che lo converte in un’opzione in più per finalizzare, seppure spuntatissima.
Ma il 90% della transizione offensiva giapponese si regge su Keisuke Honda, ieri monumentale. Oltre a giocare con un’eleganza da stropicciarsi gli occhi (l’assist per il terzo gol, previo dribbling di tacco, per imprevedibilità e impatto estetico mi ricorda il colpo di tacco no-look di Guti sul campo del Deportivo), controlla i tempi del gioco che è un piacere. Per il Giappone è uno Zidane in scala ridottissima, che dalla posizione di falso centravanti congela il pallone, permette a tutta la squadra di uscire dalla metacampo e di compattarsi anche in vista della successiva perdita del pallone. Se il calcio non si può dividere nettamente in due fasi, bisogna dire che Honda risulta così anche una delle principali armi difensive del Giappone, e questo a dispetto del fatto che Okada lo ha messo in quella posizione proprio per risparmiargli i ripiegamenti difensivi e permettergli di corricchiare e grattarsi rimanendo fresco per la successiva fase offensiva quando il pallone ce l'hanno gli altri.
Ma il limite del Giappone è che finisce dove finisce Honda. Non puoi chiedere a Keisuke di dettarti la profondità senza palla, di attaccare lo spazio con la bava alla bocca, e non c’è nessuno che lo faccia in questo Giappone (Okubo sì, ma è un moscerino che puoi scacciare con una manata). Lui viene incontro, chiede palla sui piedi e fa quello che deve fare benone. Così, nonostante non gli manchi la volontà di riproporsi con più uomini, il Giappone per questa inadeguata ripartizione degli spazi offensivi rischia di rimanere schiacciato su stesso e regalare di fatto un’intera metacampo all’avversario.
Un limite grave (anche ieri, se non fossero arrivate quelle due punizioni, splendide ma pur sempre due episodi, a metterla in discesa sarebbe stata molto più dura), forse si può pensare alla soluzione-Okazaki al centro (che sembra quello più aggressivo dei centravanti in rosa), con lo spostamento di Honda a destra, come già avvenuto a partita in corso in questo girone. Ma metterla in pratica dall’inizio è un altro discorso, che potrebbe implicare un sacrificio eccessivo per un Honda costretto più a supportare il terzino che a Zidaneggiare.
VALENTINO TOLA
GIAPPONE (4-1-4-1): Kawashima; Komano, Nakazawa, Tanaka, Nagatomo; Abe; Matsui (dal 29’ s.t. Okazaki), Hasebe, Endo, Yo. Okubo (dal 43’ s. t. Konno); Honda. (Narazaki, Eiji, Kawaguchi, Yuji, Yuichi, Iwamasa, Yuto, Uchida, S. Nakamura, K. Nakamura, Inamoto, Tamada). All.: Okada.
ARBITRO: Damon (Sudafrica).
NOTE: spettatori 27.967. Ammoniti Kroldrup, Bendtner, C. Poulsen per gioco scorretto; Endo, Nagatomo per comportamento non regolamentare . Angoli 6-4. Tiri in porta 5 (1 traversa)-8 (1 palo). Tiri fuori 5-4. In fuorigioco 0-3. Recuperi: 2’ p.t. 4’, s.t..
Ve li ricordate i Gremlins? Ecco.
Nei mondiali precedenti i giocatori giapponesi sembravano tanti Gizmo, simpatici, graziosi (quelli di Nakata prima e di Ono e Nakamura erano piedi indiscutibilmente buoni), ma incapaci di fare del male ad una mosca. Ma prima di questo mondiale qualcosa deve essere successo. Qualcuno, forse Takeshi Okada o forse chissà chi altro, deve aver fatto entrare i Gizmo in contatto con l’acqua, o deve avergli dato da mangiare dopo mezzanotte. Perché questi improvvisamente sono diventati aggressivi, molto più cattivi, e soprattutto, hanno cominciato a moltiplicarsi in maniera incontrollata. In ogni zona del campo. Dove c’è il pallone, stai sicuro che c’è almeno una, se non due, maglie blu in più. È un Giappone che fa la differenza rispetto al passato sul piano della consistenza atletica, della saldezza difensiva e della mentalità, pur restando una squadra con le sue buone lacune (a mio avviso sfavorita nell’ottavo pur non squilibrato col Paraguay).
Prima però bisogna dire che non è stato tutto rose e fiori nella partita dei Samurai, che hanno sofferto prima di passare in vantaggio, specialmente nei venti minuti iniziali. Perché se quella di ieri è stata una della partite più belle e intense del mondiale il merito in parte è anche di una Danimarca che non può uscire senza dire di essersela giocata a testa alta.
L’approccio alla partita degli uomini di Morten Olsen era stato ottimo, propositivo e con un ritmo e geometrie in grado di mettere in difficoltà anche il tentacolare sistema difensivo giapponese, che inizialmente faceva fatica a seguire le costanti sovrapposizioni dei danesi sulle fasce. Ma la Danimarca era partita sfruttando bene tutto il campo, con ottimi movimenti anche centralmente, con un attaccante che a turno veniva incontro e l’altro che scattava alle spalle della difesa avversaria, questo per impedire sempre al Giappone di accorciare come sa fare. Tomasson e Bendtner sempre intelligenti nell’aprire spazi e smarcarsi, anche se poi la mira è un’altra storia…
Ma la partita è cambiata radicalmente con le due punizioni capolavoro di Honda ed Endo (pur senza negare le responsabilità di Sorensen sul primo gol). Allora i Gremlins hanno potuto imporre la loro legge, registrando le posizioni nella propria metacampo (corrono tantissimo, ma anche meno di quanto sembra, perché le distanze da coprire per il singolo giocatore non sono esagerate) e puntando su un contropiede manovrato notevole per il dinamismo di tutti gli interpreti e anche per la buona qualità di palleggio.
Com’è allora questo Giappone che arriva per la seconda volta agli ottavi di un Mondiale?
È una squadra che basa le sue chances su una grande organizzazione difensiva. Quattro/uno/quattro/uno, baricentro basso, pressing infernale una volta che l’avversario raggiunge il cerchio di centrocampo, contropiede che comunque coinvolge un buon numero di giocatori (fino a 5), con tutta la squadra che accompagna e rimane lì per portare di nuovo il pressing e magari riconquistare palla subito nella trequarti avversaria. Una squadra molto equilibrata perché fluida nelle transizioni, sempre già organizzata per la fase successiva, tendenzialmente difensiva, chiaro, ma che sicuramente si staglia sopra il difensivismo rozzissimo e arcaico emerso in troppe squadre di questo mondiale, quel difensivismo che semplicemente si propone di buttare il pallone avanti, mandarne uno-due nella metacampo avversaria e il resto che aspetta tutto dietro per non scoprirsi a palla persa.
Ha colpito favorevolmente la concentrazione di tutto il blocco difensivo, una zona applicata come si deve (Stefano Nava in telecronaca dice giustamente “c’è da imparare da questi giapponesi”), mai imbastardita da cose tipo marcature a tuttocampo più appariscenti che utili.
Un vantaggio rispetto alle edizioni precedenti del Giappone poi è la maggiore fisicità dei difensori centrali: niente più nani da giardino, Nakazawa e Tanaka sono tosti (anche se è chiaro che Bendtner i centimetri li dà a tutti). Qualche pecca però rimane (e ci mancherebbe altro!): in particolare i difensori giapponesi sono precisissimi nei movimenti ad accorciare, nell’anticipo o nello slittamento laterale, attentissimi a garantirsi la copertura reciproca, però tendono a soffrire sui palloni alle loro spalle, non sempre il posizionamento è quello giusto. Tomasson e Bendtner hanno già evidenziato qualcosa ieri, e c’è da pensare che possano fare la stessa gli attaccanti paraguaiani, anche loro validissimi nel gestirsi quegli spazi.
Un altro punto a favore del Giappone è il centrocampo, capace sempre di proporre oltre che distruggere. Abe è il riferimento davanti alla difesa, Endo il giocatore più di regia, Hasebe più dinamico (ma non privo di tecnica) e anche portato all’inserimento, Matsui a destra ha corsa ma anche senso del gioco nel dialogare con Honda per linee interne e preparare le sovrapposizioni di Komano (che non mancano mai quando c’è la possibilità, come per Nagatomo a sinistra, anche se entrambi i terzini sono più di quantità che altro, bisogna dirlo). Okubo a sinistra è il più limitato, come qualità tecnica e anche come lettura del gioco, ma ha un dinamismo indiavolato ed è il più verticale dei giocatori a supporto dell’attacco, con qualche diagonale interessante (è destro) che lo converte in un’opzione in più per finalizzare, seppure spuntatissima.
Ma il 90% della transizione offensiva giapponese si regge su Keisuke Honda, ieri monumentale. Oltre a giocare con un’eleganza da stropicciarsi gli occhi (l’assist per il terzo gol, previo dribbling di tacco, per imprevedibilità e impatto estetico mi ricorda il colpo di tacco no-look di Guti sul campo del Deportivo), controlla i tempi del gioco che è un piacere. Per il Giappone è uno Zidane in scala ridottissima, che dalla posizione di falso centravanti congela il pallone, permette a tutta la squadra di uscire dalla metacampo e di compattarsi anche in vista della successiva perdita del pallone. Se il calcio non si può dividere nettamente in due fasi, bisogna dire che Honda risulta così anche una delle principali armi difensive del Giappone, e questo a dispetto del fatto che Okada lo ha messo in quella posizione proprio per risparmiargli i ripiegamenti difensivi e permettergli di corricchiare e grattarsi rimanendo fresco per la successiva fase offensiva quando il pallone ce l'hanno gli altri.
Ma il limite del Giappone è che finisce dove finisce Honda. Non puoi chiedere a Keisuke di dettarti la profondità senza palla, di attaccare lo spazio con la bava alla bocca, e non c’è nessuno che lo faccia in questo Giappone (Okubo sì, ma è un moscerino che puoi scacciare con una manata). Lui viene incontro, chiede palla sui piedi e fa quello che deve fare benone. Così, nonostante non gli manchi la volontà di riproporsi con più uomini, il Giappone per questa inadeguata ripartizione degli spazi offensivi rischia di rimanere schiacciato su stesso e regalare di fatto un’intera metacampo all’avversario.
Un limite grave (anche ieri, se non fossero arrivate quelle due punizioni, splendide ma pur sempre due episodi, a metterla in discesa sarebbe stata molto più dura), forse si può pensare alla soluzione-Okazaki al centro (che sembra quello più aggressivo dei centravanti in rosa), con lo spostamento di Honda a destra, come già avvenuto a partita in corso in questo girone. Ma metterla in pratica dall’inizio è un altro discorso, che potrebbe implicare un sacrificio eccessivo per un Honda costretto più a supportare il terzino che a Zidaneggiare.
VALENTINO TOLA
It's just like watching Brazil direbbero in Inghilterra.
RispondiEliminaAvevo sottovalutato il Giappone, lo vedevo debole sul piano fisico: errore MARCHIANO!
Questa è la prestazione di squadra migliore di tutto questo inizio dei Mondiali secondo me.
I giapponesi correvano come matti ed erano imprendibili e oltretutto proponevano giocate di enorme qualità, specialemtne con Honda. Prestazione memorabile!
Se giocano così agli ottavi, non vedo come il Paraguay possa avere la meglio, visto che è molto compassato.
Super Giappone davvero ragazzi.... Che partita. Mi inchino a 90 minuti da capolavoro.
P.s: questa terza giornata dei gironi è troppo fitta emi finisce per sfinire :D Sicuramente dagli ottavi di finale riuscirò a scrivere di più qui.
Intanto, per chi fosse interessato, ho aggiunto un piccolo pezzo su Nuova Zelanda-Paraguay, che immagino in pochi avranno visto (e ancor meno in diretta, come invece ho fatto io :asd: ) ;)
Nuova Zelanda-Paraguay in diretta... sei un fenomeno! :D
RispondiEliminaAnche io avevo sottovalutato il Giappone sul piano fisico...
...ora scrivo qualcosa su questa partita.