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martedì 6 luglio 2010

Uruguay-Olanda 2-3: Van Bronckhorst (O) al 18’, Forlan (U) al 41’ p.t.; Sneijder (O) al 25’, Robben (O) al 27’, M. Pereira (U) al 46’ s.t.


URUGUAY (4-4-2): Muslera; M. Pereira, Victorino, Godin, Caceres; Perez, Arevalo Rios, Gargano, A. Pereira (dal 33’ s.t. Abreu); Cavani, Forlan (dal 36’ s.t. S. Fernandez). (Castillo, Silva, Lugano, Eguren, Gonzalez, Scotti, A. Fernandez). All. Tabarez.

OLANDA (4-2-3-1): Stekelenburg; Boulahrouz, Heitinga, Mathijsen, Van Bronckhorst; Van Bommel, De Zeeuw (dal 1’ s.t. Van der Vaart); Robben (dal 44’ s.t. Elia), Sneijder, Kuyt; Van Persie. (Vorm, Boschker, Ooijer, Braafheid, Schaars, Afellay, Babel, Huntelaar). All. Van Marwijk.

ARBITRO: Irmatov (Uzb).

NOTE: spettatori 62.479. Ammoniti Maxi Pereira, Caceres, Boulahrouz, Sneijder. Recupero: 2’ p.t., 3’ s.t.


La prima finalista è l’Olanda ed è anche giusto così per dare un tono un po’ più serio a questo dimesso Mondiale 2010, che perlomeno vedrà in finale due Nazionali con un vero concetto di squadra e che mostrano diverse concezioni di calcio in fase di possano: l’Olanda cinica e con qualche fiammata se la vedrà allora con la Germania tutta talento e solidità oppure contro la Spagna del tiqui-taca, concetto forse un po’ troppo estremizzato da Del Bosque rispetto ad Aragones (che oltre al grande possesso voleva anche qualche scarico sulle fasce che in questa Spagna finora non s’è visto).

Esce invece l’Uruguay, la cui identità è stata piuttosto misteriosa: difesa poco tecnica con tanti passaggi a vuoto, centrocampo di onesti pedalatori ma nulla più e attacco che punta tutto sul talento e le giocate degli ottimi Forlan e Suarez, i veri protagonisti della squadra. Un Uruguay che aveva ottenuto lo spareggio contro la Costa Rica in modo quantomeno fortunoso (sfruttando l’incredibile suicidio dell’Ecuador) e che a questi Mondiali non ha mai dimostrato nulla di particolare, non convincendo in nessuna delle sue esibizioni ma arrivando incredibilmente (e molto fortunosamente) alle semifinali, per giunta con un tecnico come Tabarez che ha cambiato più moduli di gioco che biancheria intima in questo mese, evidenziando come un vero piano non ci fosse dietro la “cavalcata” uruguaiana. La squadra sudamericana arriva ad una inopinata semifinale e esce da questa pure con onore (a parte le sceneggiate viste per un minuto dopo il fischio finale dell’arbitro, per fortuna sedate subito), ma il tutto è dovuto più a qualche mese di grazia totale piuttosto che a qualche reale merito tecnico o tattico (escludendo ovviamente i due grandi attaccanti, loro sì molto meritevoli).

Non è stata una grande semifinale sul piano tecnico, ma di fatto nessuna delle sei partite dell’Olanda ha avuto un grande livello e una grande pulizia tecnica: la squadra di Van Marwijk arriva in finale grazie ad un calcio cinico ma raramente brillante, più teso a trovare la fiammata vincente che un gioco di qualità. Si attende qualcosa di realmente brillante dagli Orange ma di fatto la versione più convincente è stata quella di questo secondo tempo, quando la squadra ha alzato il ritmo, ha provato a forzare i tempi e a vincerla di forza, un tentativo che ha funzionato e ha fatto sì che l’Olanda meriti questa finale.

La partita si accende un po’ nella ripresa, dopo un primo tempo di bassissimo spessore tecnico e tattico. L’Olanda parte in maniera soft, faticando a prendere in mano il gioco ma trovando comunque il vantaggio con la gran fucilata di Giovanni Van Bronckhorst diretta all’incrocio dei pali. Sembra l’episodio che può mettere in discesa il match, ma gli Orange deludono totalmente nella gestione del vantaggio, andando soltanto ad abbassarsi provando ad addormentare la partita e non provando a chiudere i conti, puntando forse eccessivamente sul contropiede vincente anche se la squadra non riesce proprio mai a ripartire con pericolosità. In questo modo l’Uruguay ha continuità di gioco, mostrando i propri limiti tecnici e nulla di realmente interessante ma trovando comunque un gran tiro di Forlan che sfrutta l’effetto Jabulani e batte uno Stekelenburg piuttosto rivedibile (Jabulani o non Jabulani, questo è un errore grave). A corollario del primo tempo c’è la tremenda scarpata rifilata con violenza da Caceres e De Zeeuw nel suo tentativo di rovesciata: in questi Mondiali si son viste tante espulsioni ridicole (incredibile quella di Gourcuff), ma Caceres se la cava con un giallo. Si può discutere sulla reale intenzionalità, ma questo è chiaramente un cartellino rosso: se non ti rendi conto che non puoi andare in rovesciata con quella violenza quando c’è un avversario ad un metro, non puoi stare su un terreno di calcio. Davvero increscioso.

Proprio De Zeeuw per questo colpo deve uscire all’intervallo (sospetta frattura della mandibola) ed è questa la scossa per l’Olanda, perché entra Van der Vaart in mediana e la squadra gioca in modo più offensivo, provando maggiormente a sfondare, con tutti gli elementi offensivi più attivi. Il più deludente tra i quattro elementi offensivi titolari dell’Olanda fin qui era stato Robin Van Persie, che però in questo secondo tempo sembra darsi una piccola svegliata, giocando i 45 minuti migliori dei suoi Mondiali: la punta diventa molto più attivo, molto più presente, capace di regalare un appoggio ad una squadra che gioca più veloce, che spinge con più coraggio e (pur non trovando particolare brillantezza) fa sfiancare l’Uruguay. Questo anche perché la squadra di Tabarez prova a rispondere con un grande pressing, portando due elementi costantemente sul portatore di palla, un lavoro che funziona anche molto bene nei primi minuti ma che porta il centrocampo a faticare sul piano fisico. Per la prima volta nel Mondiale la squadra di Tabarez perde dinamismo e per questo la pressione dell’Olanda diventa forte fino al gol piuttosto fortunoso realizzato da Sneijder, che sfrutta una leggera deviazione, un Muslera (ancora mai del tutto convincente) lento come un ippopotamo nel buttarsi a terra e il velo di Van Persie, il quale era anche in leggera posizione di fuorigioco: è però un fuorigioco di non più di 10 cm, una segnalazione impossibile per il guardalinee, non certo un tipo di fuorigioco per cui scandalizzarsi (come qualche media italiano ha fatto in maniera comica). Per queste situazioni decise da pochi centimetri bisogna avere un po’ di apertura mentale e comprendere l’errore, oppure proprio non considerarlo tale per i limiti dell’occhio umano. La reazione dell’Uruguay viene subito soffocata poi dall’ottima incornata di Arjen Robben, in una serata strana perché sbaglia tutto con i piedi ma segna un gran gol di testa: se Sneijder e Robben segnano due gol di testa in due partite, forse c’è qualche segnale positivo anche dal fato.

L’Uruguay si risveglia nel finale accendendo il recupero con il gol del 2-3, ma il risultato non cambia e ad avanzare è l’Olanda, alla sua terza finale della storia: per la prima volta però gli Orange non troveranno i padroni di casa (come la Germania Ovest nel ’74 o l’Argentina nel ’78), visto che per la prima volta una Nazionale europea riuscirà a vincere un Mondiale organizzare fuori dal continente europeo. Ci sarà una finale tra novità assolute (ovvero tra squadra mai salite sul tetto del Mondo) contro la Spagna o gli Orange si ritroveranno di fronte nuovamente la Germania (stavolta unita), alla caccia del quarto titolo? Si potranno fare mille discorsi sul gioco dell’Olanda che non decolla, ma questa è una Nazionale che ha vinto 17 delle ultime 18 partite ufficiali giocate (in mezzo solo la sfida contro una grandissima Russia, persa solo ai tempi supplementari contro il connazionale Hiddink) e allora non è il caso di avanzare critiche o porre punti interrogativi superflui (anche se si è molto amanti dell’estetica calcistica, come il sottoscritto), perché chiaramente Van Marwijk ha puntato tutto sul cinismo e finora le grandi individualità (Sneijder e Robben su tutti) gli hanno dato ragione, raggiungendo un grandissimo traguardo come la finale dei Mondiali.

SILVIO DI FEDE

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L'Uruguay è fuori, viva l'Uruguay. Per me non ci sono dubbi: è la Celeste la squadra che più emozioni ha saputo regalare in questo Mondiale scialbo e finora privo di pagine da leggenda del calcio, se si esclude ovviamente l'ultimo minuto della sfida tra gli uruguagi e il Ghana. Al termine della partita contro l'Olanda, la squadra di Tabarez merita solo applausi per come ha saputo tenere il campo al cospetto di avversari superiori di almeno una categoria, e per di più senza la colonna difensiva e morale (Lugano), lo stantuffo di fascia sinistra (Fucile), il folletto imprevedibile dell'attacco (Suarez) e l'unico centrocampista dotato di fantasia e inventiva (Lodeiro). Assenze del genere avrebbero steso un toro, invece i sudamericani non sono scesi in campo rassegnati all'inevitabile, ma hanno lottato fino all'ultimo istante regalando al pubblico una semifinale palpitante ed emotivamente coinvolgente, anche se piuttosto deficitaria dal punto di vista tecnico-tattico.
Interessanti le scelte di Tabarez: il Maestro non trova garanzie in Abreu e abdica al tridente che lo ha portato nel club delle magnifiche quattro, dunque piazza Gargano al fianco di Arevalo Rios, allarga la posizione di Perez e Alvaro Pereira e propone in avanti il tandem Cavani-Forlan, col biondo Diego a svariare dietro l'attaccante del Palermo; Van Marwijk invece non cambia assetto e si limita a sostituire gli squalificati Van de Wiel e De Jong con Boulahrouz e De Zeeuw. La partita, inizialmente lenta e bloccata anche per l'ottimo pressing esercitato dall'Uruguay a partire dai due generosissimi ataccanti, si sblocca grazie a un siluro di Van Bronckhorst; l'Olanda sembrerebbe avvantaggiarsi, tuttavia la Celeste non si scopre attaccando scriteriatamente e non porge il fianco al contropiede orange. Creano poco, i sudamericani, però mantengono le giuste distanze e aspettano con pazienza certosina l'episodio che sovente, sotto forma di giocata estemporanea, ha risolto le loro precedenti partite. Ed ecco che al 41' Forlan prende palla, si beve il proprio marcatore con una finta e spara un sinistro, invero centrale, sul quale Stekelenburg è poco reattivo, anche se va detto che il cambio di direzione del pallone (il solito effetto-Jabulani) è davvero evidente. La ripresa vede un Uruguay che gioca meglio degli orange, con maggior personalità e frescheza fisica rispetto al primo tempo; la Celeste sfiora il gol con Alvaro Pereira (pallonetto salvato sulla linea da Van Bronckhorst), come sempre bravissimo, e si fa vedere con una punizione di Forlan, ma finisce per cadere nel suo momento migliore. Il gol di Sneijder, rocambolesco e viziato da un fuorigioco attivo di Van Persie, taglia le gambe agli uomini di Tabarez , definitivamente seppelliti dalla rete di testa di Robben dopo due minuti. L'Olanda stavolta riesce a congelare la partita, anche se il gol di Maxi Pereira a tempo scaduto rischia di complicare le cose: l'Uruguay adotta lo schema "in the box" cercando la testa del Loco Abreu, trova un paio di mischie da brivido ma non riesce a segnare il pari. La squadra di Tabarez merita comunque molti elogi: non sarà esteticamente pregevole e non giocherà secondo dettami tattici innovativi, però sa far bene le poche cose che il suo allenatore richiede (fase difensiva - tolto il Caceres inguardabile di stasera -, aggressività sulle secondo palle, dialogo fitto tra i talentuosi attaccanti) ed è stata sicuramente la miglior formazione di questo Mondiale in rapporto alla qualità complessiva della rosa. L'Olanda continua a non convincere i media nostrani, che evidentemente quando vedono arancione pensano solo al calcio totale; gli orange sono un inno all'efficacia e sanno andare in rete non appena spingono di più, non perdono da un'era geologica fa e sono sorretti da un'eccellente condizione psicofisica(nonché da una buona dose di fortuna): che sia la volta buona per i tulipani?

EDOARDO MOLINELLI


Una partita piena di emozioni, fino alla fine, anche se dai contenuti tecnici e tattici modesti, come previsto. Certo ha vinto la squadra coi miglior giocatori. E loro hanno fatto decisamente la differenza, nonostante il fenomenale Forlan (che ha giocato pure da infortunato), mio personale MVP di questo Mondiale. L'Uruguay ha trovato un pertugio nel tabellone e si è inserito, con merito, anche se ha rischiato diverse volte di uscire (clamorosa la partita col Ghana): arrivare fin qui è davvero grasso che cola, vista la modesta proposta di calcio della squadra di Tabarez. L'Olanda ha un potenziale offensivo forse superiore anche a quello degli spagnoli, tuttavia non mi trovano d'accordo le analisi che leggo in giro sul mutamento di atteggiamento rispetto ai Tulipani degli anni '70. La squadra di van Marwijk non è una squadra cinica, pragmatica che mira solo al risultato: se così fosse avrebbe una struttura difensiva che invece non ha nemmeno per sogno. Sicuro, difende con molti uomini che tengono bene la posizione, ma l'analisi tattica della fase difensiva si ferma qui, dato che nemmeno la transizione mi pare risponda a principi chiari. Levato il Brasile, ha avuto un calendario comodo che ha sfruttato benissimo, e quasi mai brillando. Ma i Robben e gli Sneijder non ce li ha nessuno...

CARLO PIZZIGONI

venerdì 2 luglio 2010

Uruguay-Ghana 5-3 dopo i calci di rigore (1-1 tempi regolamentari)


URUGUAY (4-4-1-1): Muslera; M. Pereira, Lugano (38'pt Scotti), Victorino, Fucile; A.Fernandez (1'st Lodeiro), Perez, Arevalo Rios, Cavani (31'st Abreu); Forlan; Suarez. (A disp.: Castillo, Silva, Godin, Gargano, Eguren, A.Pereira, I.Gonzalez, S.Fernandez, Caceres). All.: Tabarez

GHANA (4-1-4-1): Kingson; Pantsil, Mensah, Vorsah, Sarpei; Annan; Inkoom (29'st Appiah), K.Asamoah, K.Boateng, Muntari (43'st Adiyiah); Gyan. (A disp.: Agyei, Ahorlu, D.Boateng, Tagoe, Amoah, I.Ayew, Addy, Owusu Abeyie). All.: Rajevac

ARBITRO: Benquerenca

NOTE: serata fredda, terreno in discrete condizioni, spettatori 84.017. Angoli: 12-8 per l'Uruguay. Espulso al 15'sts Suarez per fallo di mano a porta vuota. Al 15'sts Gyan ha calciato un rigore sulla traversa. Ammoniti: Fucile, Arevalo Rios, Pantsil, Perez, Sarpei, Mensah. Recupero: 2'; 3'; 1'; 1'. Sequenza rigori: Forlan (gol), Gyan (gol), Victorino (gol), Appiah (gol), Scotti (gol), Mensah (parato), Pereira (fuori), Adiyiah (parato), Abreu (gol)


Tremendo. Questa è pura crudeltà. E a volte, tranne che per i diretti interessati che avrebbero voglia di buttarsi sotto un treno, è anche parte del fascino del calcio. Sarebbe stata la prima squadra africana a qualificarsi per una semifinale, non avrebbe demeritato perché probabilmente superiore all’Uruguay (di sicuro più stimolante per l’appassionato), però… Suárez si sacrifica per la patria, fa mani e rigore, e Gyan Asamoah manda a infrangersi (MODALITÀ RETORICA: ON) sulla traversa le speranze di tutto un continente. Da lì in poi può succedere di tutto, anche che uno come il Loco Abreu, che coloro che amano l’argomentazione pacata definirebbero “scarpone patentato”, diventi l’eroe della serata trasformando il rigore decisivo con un cucchiaio. Poveri noi, povero Ghana, ma non è neanche il caso di criminalizzare un Uruguay che con le sue armi è sempre stato dentro una partita equilibratissima.

Anzi, c’è da dire che l’Uruguay la prima mezzora l’aveva dominata, giocando un grande calcio non per spettacolarità ma per chiarezza di idee, coerenza logica e determinazione. Tabárez nell’occasione ha abbandonato il centrocampo a tre (poi la composizione del settore avanzato dipende dalla posizione di Forlán, che può fare il trequartista o partire largo in maniera simmetrica rispetto a Cavani) per passare a un 4-4-2 più classico. Fuori Álvaro Pereira, Cavani esterno sinistro a tutti gli effetti, e a destra Álvaro Fernández. Contando l’aiuto di Forlán nei ripiegamenti e nel pressing, l’obiettivo è non andare in inferiorità rispetto al temibilissimo centrocampo ghanese, che per questo motivo aveva fatto girare la testa agli USA nel primo tempo dell’ottavo.
Comunque più che le formule numeriche conta in questo caso l’applicazione, l’intensità e la compattezza che ci mette l’Uruguay. Rispetto alle scorse partite inizia più aggressivo, con un baricentro più avanzato, ma il punto di partenza è sempre e comunque la fase di non possesso, rubare la palla e ripartire. Questa squadra non vuole, non può e non sa elaborare, e a partire da questa premessa sceglie la strategia più razionale. Passare meno possibile per Diego Pérez e Arévalo Rios, non aver problemi a spararla lunga, e da lì braccare la seconda palla, qualche volta anche buttarla in fallo laterale per salire e pressare, perché così in caso di riconquista si può ripartire subito con Forlán e Suárez. Diretto, verticale e senza fronzoli, l’Uruguay meriterebbe il gol nella prima mezzora.
Il Ghana sembra paralizzato, ma lo sciolgono due occasioni di fila (Vorsah su calcio d’angolo e un contropiede finalizzato male da Gyan Asamoah), che non solo lo fanno entrare in partita, ma costituiscono anche la premessa del vantaggio siglato da Muntari allo scadere del primo tempo. Pardon, il vantaggio siglato da Jabulani: con tutto quello che si può dire di Muslera, il suo movimento verso l’altro palo era sacrosanto, poi se La Palla Pazza che strumpallazza ha un ripensamento dell’ultim’ora e cambia direzione son problemi suoi e degli scienziati che per mesi si chiudono in un laboratorio ad inventarla.
Entra in scena il Ghana, una squadra onestamente più complessa e più evoluta dell’Uruguay. Mi ha dato fastidio in questi mondiali sentire ancora i soliti luoghi comuni sulle squadre africane. Quando sbaglia un brasiliano, un saudita, un giapponese o un olandese, è un errore individuale; quando invece sbaglia un giocatore africano, non è un errore individuale, è perché LORO sono così. Persino da uno come Dossena, che LORO dovrebbe conoscerli meglio di molti altri, capita di sentire nella telecronaca di Germania-Ghana luoghi comuni tipo “la ragione contro l’istinto”, oppure un incredibile “LORO non li capiscono gli uno-due”. Manca il mito del Buon Selvaggio, e siamo al completo.
Ebbene, LORO a parte la corsa e le doti fisiche sono una delle squadre meglio pensate, più razionali e raffinate di questo mondiale. Organizzata, flessibile, capace di adattarsi a più contesti tattici, tecnicamente dotata. È più evoluta perché quando è in fase di non possesso, per come gestisce il pressing o i ripiegamenti, sta già preparando la successiva fase di possesso. Quando non ha la palla orienta la manovra dell’avversario verso la zona del campo dove intende recuperare, e da lì sa ripartire magistralmente (il merito principale dell’Uruguay nella prima mezzora è consistito proprio nello scavalcare il centrocampo e quindi questa trappola). Questo va ben oltre la povertà della maggior parte delle squadre di questo mondiale, portate ad accumulare uomini dietro slegando del tutto le due fasi del gioco. Concetto limitato dal quale in tutta onestà per larghi tratti non sfugge nemmeno l’Uruguay.
Poi quando hanno il pallone i ghanesi sanno fare la partita, sanno gestire i tempi e avanzare con ordine e fantasia. Il valore aggiunto rispetto alle altre squadre del continente risiede proprio nella qualità e nel senso del gioco dei centrocampisti, che purtroppo scarseggia nell’attuale congiuntura del calcio africano. Dall’intelligentissimo Annan davanti alla difesa, a Ayew ieri assente, a Kwadwo Asamoah (troppo incostante però, quasi nullo ieri), a Kevin Prince Boateng (eccessi d’individualismo a parte). Dove purtroppo si perde il Ghana è negli ultimi metri, manca killer instinct: nonostante il movimento e le buone doti tecniche di Asamoah, non c’è freddezza e le scelte nella fase di finalizzazione del gioco talvolta sono incomprensibili. Però il concetto di squadra, il blocco, è uno dei più apprezzabili del torneo. Altro che istinto contro ragione.
La scarsa concretezza negli ultimi metri ha impedito al Ghana di far sua la partita definitivamente, e all’Uruguay di restare pienamente in partita dopo il pareggio di Forlán (qui sì che c’è un grosso errore del portiere). Quando i minuti passano e gli spazi aumentano, Tabárez si gioca tutto il suo arsenale offensivo per colpire meglio di rimessa: il trequartista Lodeiro era già entrato a inizio ripresa al posto di Álvaro Fernández, ribadendo qualità interessanti (l’unico capace di portare palla e cucire i reparti oltre a Forlán; Ignacio González invece tagliato dopo la prima deludente con la Francia), mentre Abreu al posto di Cavani insegue solo le mosche, finchè si sta nei tempi regolamentari.
Anche il Ghana aggiunge una punta, Adiyah, ma ciò nonostante le occasioni pericolose si diradano, tutte e due le squadre perdono progressivamente lucidità, fino alla follia finale.

VALENTINO TOLA

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Diamo il benvenuto a un nuovo collaboratore del blog, Andrea Antoccia.

Prima di cominciare, volevo ringraziare gli amministratori del blog che mi hanno permesso, seppur con qualche gara di ritardo, di entrare a far parte della squadra di collaboratori. Grazie di cuore. Comincio questa mia nuova avventura raccontandovi la gara più bella del mondiale sudafricano: Uruguay-Ghana, pazzo, pazzissimo quarto di finale.

«Perché ami il calcio?»: se prima di Uruguay-Ghana qualcuno mi avesse posto questa amletica domanda, non avrei saputo rispondere. Ma se oggi chicchessia mi metterebbe di fronte allo stesso interrogativo, gli mostrerei gli ultimi due minuti del secondo quarto di finale del mondiale sudafricano: dalla punizione di Annan, con la prima respinta di Suarez su Adiyiah, all'ultimo rigore della spietata lotteria degli undici metri, trasformato con un rischiosissimo cucchiaio da Abreu. Nel mezzo, un inevitabile fallo di mano a porta vuota dell'attaccante uruguayano dell'Ajax, espulso dal portoghese Benquerenca, e quattro errori dal dischetto; il più importante, quello di Gyan, giunto proprio dopo il fallo di Suarez, a una manciata di secondi dal termine dei tempi supplementari.
Tempi supplementari che, continuando il racconto a ritroso, erano giunti dopo che l'equilibrio aveva regnato sovrano a Johannesburg: al gol di Muntari, arrivato in chiusura di primo tempo, aveva presto risposto, dopo l'inversione di campo, il solito Forlan. Il gioco? Un fritto misto. Dopo un inizio in controtendenza rispetto al prosieguo della sfida, con entrambe le squadre chiuse nella propria metà campo, era emerso l'Uruguay, costretto poi a tornare sulla terra a causa dell'infortunio di Lugano, che ha privato la squadra di un difensore capace di impostare il gioco come pochi altri sanno fare. Privo della frizzantezza di Ayew, squalificato, il Ghana si è affidato all'estro di Gyan, capace di inventare giocate illuminanti anche nei momenti di maggior difficoltà della sua squadra. Sfruttando l'inevitabile calo fisico della Celeste, giunto sul finire della prima frazione, la nazionale africana ha acquistato il dominio del centrocampo arrivando più volte in porta e riuscendo ad «uccellare» Muslera sui titoli di coda.
Il solito problema della sterilità offensiva, però, ha impedito all'undici di Rajevać di far sua la gara. E così, ci ha pensato Diego Forlan, alla terza rete della rassegna, a punire la prima e unica disattenzione di Kingson. Più volte il risultato di parità è stato messo a dura prova, ma al centoventesimo si è giunti ancora sull'uno a uno, con le due squadre sfinite ed il tecnico serbo che non ha inspiegabilmente effettuato la terza sostituzione a sua disposizione. E lì è accaduto l'impensabile. Sul calcio di punizione di Annan, l'ultimo della gara, si è gettato Adiyiah, vedendosi respingere il tiro da Suarez; il giovanissimo attaccante del Milan è piombato sulla ribattuta, ma il suo tiro a botta sicura è stato ancora fermato sulla linea di porta dall'uruguayano. Che, però, l'ha fatta fuori dal vaso: fallo di mano, espulsione e rigore. Rigore che Gyan, già a segno dagli undici metri contro Serbia e Australia, ha calciato sulla traversa. L'emozione, è stato detto: ma perché, allora, nella lotteria degli undici metri il suo rigore è stato quello calciato meglio? Nessuno potrà mai saperlo.
Fatto sta che, giunto grazie ad una incredibile botta di fortuna fino ai rigori, l'Uruguay ha improvvisamente riacquistato tutto il vigore perduto in precedenza. La formica - Muslera, in questo caso - s'è incazzata, e ha riscattato l'errore commesso sulla rete di Muntari respingendo i tiri dagli undici metri di Mensah prima e Adiyiah poi. Il resto l'ha fatto «el Loco» Abreu, peggiore in campo nei centoventi, con un cucchiaio che riassume alla perfezione il suo soprannome. Un cucchiaio che fa la storia: quella dell'Uruguay, che torna a giocare una semifinale mondiale dopo quarant'anni, e quella del Ghana, a cui invece è mancato tanto così per riscrivere la storia calcistica di un intero continente.

ANDREA ANTOCCIA

sabato 26 giugno 2010

Uruguay-Corea del Sud 2-1: Suarez (U) al 7' p.t; Chung-Yong (S) al 23', Suarez (U) al 35' s.t.



URUGUAY (4-3-1-2): Muslera; Maxi Pereira, Lugano, Godin (1'st Victorino), Fucile; Diego Perez, Arevalo, Alvaro Pereira (24' st Lodeiro); Forlan; Suarez (40' st A.Fernandez), Cavani. (Castillo, Silva, Gargano, Eguren, Abreu, I.Gonzalez, Scotti, S.Fernandez, Caceres). All. Tabarez.

COREA DEL SUD (4-4-1-1): Sungryong; Cha Du-Ri, Yong-hyung, Jung- Soo, Young-Pyo; Jae-Sung (16' st Dong-Gook), Jung-Woo, Sung-Yeung (40' st Ki-Hun), Chung-Yong; Park Ji-Sung; Chu-Young. (Woon-Jae, Young-Kwang, Beom-Seok, Hyung-il, Nam-Il, Bok-Young, Jungh-Wan, Seung-Yeoul, Dong-Jin, Min-Soo). All. Huh.

ARBITRI: Stark (Germania)

NOTE: spettatori 40.000 circa. Angoli: 3-3. Ammoniti: Jung-Woo, Yongh-Yung. Recupero: 1'; 3'.



Un terreno di gioco indecoroso che con la forte pioggia del secondo tempo peggiora ulteriormente, un arbitraggio pessimo (anche se gli errori sono più o meno equamente suddivisi) e una squadra dalla mentalità decisamente speculativa: c’è tutto perché il primo ottavo di finale di questi Mondiali diventi un match piuttosto dimenticabile, ma a rendere divertente il match c’è la Corea del Sud che mostra un buon calcio e nel secondo tempo domina per lunghi tratti. Il gioco del calcio però spesso e volentieri sa esprimere verdetti illogici e allora ad avere la meglio è la squadra che meno avrebbe meritato la vittoria, un Uruguay che trova gli episodi giusti in 90 minuti mal giocati e male interpretati.

La Corea del Sud si fa decisamente preferire, ma paga una certa indisciplina difensiva vista nel primo tempo, con la linea a quattro e il portiere che hanno commesso degli errori davvero banalissimi, rischiando più e più volte il capitombolo: non a caso, il gol che sblocca il match arriva proprio su un cross di Forlan davvero mal giudicato da Jung Sung-Ryong, per l’ennesima papera di un portiere a questi Mondiali. La squadra di Huh Jung-Moo prende in mano decisamente il gioco già nel primo tempo ma senza convinzione, scuotendosi decisamente nella ripresa alzando i ritmi, cercando le combinazioni continue tra i mobilissimi quattro elementi offensivi e creando occasioni, ma peccando di un altro elemento per essere decisivo ai fini del risultato finale, ovvero l’incisività negli ultimi metri: con un killer da area di rigore, la squadra sudcoreana con ogni probabilità avrebbe portato a casa la vittoria, quantificando meglio le grandi occasioni avute. Il gol del pareggio arriva su un doppio errore di Victorino e Muslera in mischia, ma Lee Chung-Yong dopo il gol del pareggio fallisce una grandissima occasione con una finalizzazione pessima e nel finale anche Lee Dong-Gook combina un pasticcio sprecando un’enorme chance: il buon Park Chu-Young ha ottime movenze ma non è il tipico attaccante di area di rigore, quanto più una seconda punta, così come gli altri trequartisti sono bravissimi in appoggio ma non sono stati concreti negli ultimi metri. E’ la mancanza che costa carissimo alla Corea del Sud, che nella ripresa aveva reagito alla grande.

Gli episodi e un grande Luis Suarez premiano oltremodo l’Uruguay, che come sempre pratica un calcio piuttosto speculativo e mai del tutto convincente: anche in questo torneo per la maggior parte del tempo la squadra di Tabarez ha pensato a coprirsi, facendolo però decisamente meglio rispetto a questo secondo tempo, quando la squadra non riusciva mai ad uscire per respirare, perdeva metri e appariva in totale affanno fino al gol del pareggio. Nel primo tempo l’Uruguay ha lasciato all’avversario in mano il gioco difendendo il gol di vantaggio ma lo aveva fatto abbastanza bene, non subendo molto negli ultimi metri anche grazie a tante buone chiusure di Diego Godin: la sua uscita dal campo (quasi sicuramente per i problemi fisici che lo avevano tenuto fuori anche per il match contro il Messico) è stata pagata decisamente dalla squadra, perché Diego Lugano ha temperamento ma poca lucidità mentre Victorino ha fatto parecchi danni apparendo spesso fuori posizione. Il centrocampo con onesti pedalatori ma con poca qualità non aveva aiutato e allora i tre attaccanti si erano trovati del tutto isolati (oltretutto, Cavani è stato abbastanza un fantasma in campo), per una squadra spaccata in due e in sofferenza. Sul piano tecnico e tattico la partita è totalmente nelle mani della Corea del Sud, ma a sfuggire a questi dettagli razionali c’è Luis Suarez, vero e proprio trascinatore dell’Uruguay in questo match: dopo il gol di rapina del primo tempo, nella ripresa trova dal nulla un tiro a giro fenomenale vincendo quasi da solo la partita e nascondendo i difetti dei compagni di squadra. Straordinario.

Avanza allora l’Uruguay delle individualità e del calcio speculativo: in fase di costruzione però il livello medio non è certo soddisfacente e nemmeno questa mentalità improntata un po’ troppo alla difesa del risultato e alla ricerca dell’episodio (mentalità un po’ tipica della scuola uruguaiana) può convincere più di tanto. Sarebbe stato decisamente più interessante vedere ai quarti di finale questa Corea del Sud frizzante, con ottima organizzazione e movimenti sempre molto collaudati: probabilmente però alla squadra di Huh Jung-Moo sono mancate quelle individualità di spicco che invece l’altra asiatica rimasta in corsa (ovvero il Giappone) ha. Di certo, i sudcoreani hanno peccato di concretezza e nel corso del torneo (pensando anche al match contro la Nigeria) sono stati parecchio indisciplinati in difesa: è un peccato, perché la Corea del Sud ha lasciato intravedere momenti brillanti in un torneo mediamente piuttosto scadente e poco divertente.

SILVIO DI FEDE

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Se amate l'estetica, il "futbol bailado" e altre amenità del genere l'Uruguay non è e non sarà mai la vostra squadra in questo Mondiale, ma da oggi tutte le altre pretendenti al titolo dovranno fare seriamente i conti con la Celeste del Maestro Tabarez. Che efficacia, che solidità difensiva e che sfoggio di attaccanti di livello hanno i sudamericani, tornati a qualificarsi ancora una volta per i quarti di finale della Coppa del Mondo quarant'anni dopo Mexico '70, dove si arresero solo allo strabiliante Brasile di Pelé, Jairzinho, Rivelino e Tostao. La Corea del Sud non ha giocato male, anzi ha dominato lunghi tratti della ripresa, ma ha mostrato tre difetti davvero a mio avviso imperdonabili: un attacco sprecone, una difesa impresentabile e una tenuta psicologica non ottimale, motivi che mi spingono ad andare controcorrente e ad affermare che questa non mi è sembrata la squadra degna di tutte le attenzione che le sono state finora tributate. Gli asiatici fanno tanto movimento e praticano un buon calcio, cercando sempre di far correre la palla a terra e di ragionare, tuttavia non mi convincono del tutto; d'altra parte, già con la Nigeria avevano rischiato fortemente di uscire, mostrando di soffrire oltremodo avversari fisici e rabbiosi. ancorché meno orgaizzati tatticamente. All'Uruguay sono bastate due fiammate per passare il turno: prima hanno sfruttato un errore da terza categoria dell'intera difesa degli asiatici (sul cross basso di Forlan Sung-Ryong non è il solo responsabile, visto che i quattro davanti a lui hanno dormito), quindi hanno accelerato dopo il gol del pari e hanno spinto senza fatica i sudcoreani nella propria metà campo, trovando il 2-1 grazie alla magia di Suarez. Nel mezzo, un controllo senza affanni nel primo tempo e una grande sofferenza nel secondo, dovuta anche all'uscita dal campo di un impeccabile Godin (Victorino non è piaciuto, perché non provare Caceres?). In generale, insomma, mi ha convinto molto di più l'Uruguay, che non giocherà a mille all'ora e non avrà grandi palleggiatori nel mezzo, ma che finora ha incassato solo un gol e sa fare malissimo quando attacca grazie alle qualità dei suoi uomini di punta. E se la sudamericana meno accreditata finisse per essere una delle grandi sorprese del torneo...?

EDOARDO MOLINELLI

martedì 22 giugno 2010

Messico - Uruguay 0-1: 43' L. Suárez.



MESSICO (4-3-3): O. Perez; Osorio, Moreno (dal 12' s.t. Castro), Rodriguez, Salcido; Torrado, Marquez, Guardado (dal 1' s.t. Barrera); Dos Santos, Franco, Blanco (dal 18' s.t. Hernandez). (Aguilar, Ochoa, Magallon, Torres, Bautista, Medina, Michel, Chavez). All. Aguirre.

URUGUAY (4-3-1-2): Muslera; M. Pereira, Lugano, Victorino, Fucile; Arevalo, R.D. Perez, A. Pereira (dal 31' s.t. Scotti); Forlan; Cavani, Suarez (dal 39' s.t. S. Fernandez). (Gargano, Eguren, Castillo, Abreu, Lodeiro, Gonzalez, A. Fernandez, Caceres, Silva, Godin). All. Tabarez.

ARBITRO: Kassai (Ungheria).

NOTE: Spettatori: 44.530. Angoli: 7-6 per l'uruguay. Ammoniti: Fucile, Hernandez, Castro. Recupero: 1'; 3'.


Il tanto temuto (perlomeno in Italia, Paese malfidente per eccellenza, ben abituato a certi imbrogli) "biscotto" non s'è materializzato a Rustenberg, ma non avevamo dubbi a tal proposito. Messico-Uruguay - grazie forse anche alle notizie che arrivavano dall'altra gara che si giocava in contemporanea, Sudafrica-Francia - è stata partita vera, e non poteva essere altrimenti: troppo ghiotta per le due nazionali l'opportunità di arrivare in testa al girone, evitando con ogni probabilità l'Argentina agli Ottavi ed avendo l'occasione di affrontare un avversario alla portata (Corea del Sud, Grecia o Nigeria). All'Uruguay, che partiva con una differenza reti migliore, bastava un pareggio per concludere il girone al primo posto; il Messico era invece costretto ad ottenere i tre punti. Alla fine a prevalere è stata la Celeste: l'ultima nazionale a qualificarsi per Sudafrica 2010 è stata così la prima a conquistare il primato nel proprio girone. Merito del lavoro del santone del calcio uruguaiano, Oscar Washington Tabárez, di un attacco atomico composto da giocatori di primissimo livello come Diego Forlán, Luis Suárez ed Edinson Cavani e di una delle tre difese rimaste ancora imbattute (le altre due sono quelle di Olanda e Portogallo, che hanno giocato però una partita in meno).

Entrambe le compagini partono forte, lanciando un chiaro segnale: nessuna delle due vuole accontentarsi. E ad essere agevolato è lo spettacolo, in particolare nei primi 20' del primo tempo, nel quale la partita poteva prendere qualsiasi direzione. Più Messico che Uruguay, ma l'occasione più nitida capita sui piedi di Suárez, che non sfrutta al meglio un uno contro uno con l'estremo difensore avversario, concludendo di poco a lato da posizione defilata. Il bomber dell'Ajax avrà comunque modo di riscattarsi: è infatti lui - dimenticato dai difensori messicani - a portare in vantaggio i suoi con un preciso colpo di testa su perfetto cross di prima intenzione dalla destra del palermitano Cavani. Disattenta e distratta, come nel secondo tempo della sfida inaugurale contro il Sudafrica, la retroguardia della Trì, che balla pericolosamente per tutti i primi 45'. Ma anche in fase di costruzione il Messico non è brilla particolarmente e non riesce ad esprimersi ai suoi massimi livelli. Blanco, schierato addirittura dall'inizio nonostante non abbia per ovvi motivi i 90' nelle gambe, non butta mai via un pallone, ma rallenta troppa la manovra; Márquez e Torrado risultano essere eccessivamente imprecisi, Franco ancora una volta non all'altezza della situazione, come dimostrano le occasioni da gol malamente sciupate dall'ex centravanti del Villareal. Il migliore è senz'altro Guardado, talento del Depor penalizzato dal modulo scelto da Aguirre (essendo un esterno puro, non sempre riesce a trovare spazio nell'undici titolare), che con uno straordinario sinistro da fuori colpisce la traversa quando il punteggio era fermo sullo 0-0. A sorpresa è proprio il 23enne ad essere sostituito dal vivace Barrera nell'intervallo, ma è ancora l'Uruguay a sfiorare la rete del 2-0, questa volta con un perentorio stacco di testa di capitan Lugano, respinto alla grande da Óscar Pérez. Nella ripresa la gara cala di intensità, il Messico non riesce a reagire nella giusta maniera, con i soli Giovani dos Santos (in realtà poco incisivo questo pomeriggio) ed il subentrato Barrera che cercano di cambiare ritmo. Aguirre getta nella mischia l'invocato Javier Hernández ed inserisce a centrocampo Israel Castro, con Rafa Márquez che scala in difesa al fianco di Francisco Rodríguez, che da due passi si divora un gol già fatto. L'Uruguay bada più che altro a difendersi per poi ripartire, ma riesce senza soffrire più di tanto a portarsi a casa il bottino pieno che ha un solo significato: dopo ben 20 anni, la Selección de fútbol del Uruguay torna ad essere una delle 16 migliori nazionali del globo.

ALBERTO FARINONE

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Qualcosa scricchiola nel Messico. Qualificazione al sicuro, ma sensazioni meno positive e passo indietro. Non convincono le giravolte di Javier Aguirre nella scelta della formazione.
Contro l’Uruguay un undici simile per uomini e movimenti a quello visto con la Francia. Sempre 4-3-3, ma meno flessibilità rispetto al modello del pre-mondiale e del primo tempo col Sudafrica. Márquez ancora stabilmente davanti alla difesa, non si abbassa più ad inizio manovra, Osorio terzino destro molto più bloccato di Aguilar. C’è la novità Guardado, che da mezzala sinistra dà il meglio essendo al tempo stesso nel vivo del gioco e partner di Salcido nelle sovrapposizioni. Il mancino del Depor gioca un ottimo primo tempo, ma il Messico nel suo complesso non è fluido né particolarmente razionale nell’occupare il campo.
Come con la Francia, Aguirre ha riproposto le tre punte vicinissime, intruppate al centro: aveva funzionato con i transalpini perché questi erano disorganizzati e con la difesa spesso alta subivano le verticalizzazioni a palla scoperta. Tutt’altra cosa l’Uruguay, più denso, più compatto e più basso con la linea difensiva.
A me piace il Messico che sulle fasce propone una catena di due-tre giocatori (terzino+ala+mezzala), da lì allarga le difese, crea superiorità e poi si rende imprevedibile con i tagli dei due esterni offensivi. Ma stavolta Giovani ha giocato subito vicino a Guille Franco, e il terzo attaccante era il pezzo da museo Blanco, tutt’altre caratteristiche rispetto all’infortunato Vela. Partire dall’inizio invece che con Blanco con un’ala come Barrera, o comunque con una seconda punta adattabile alla fascia come Alberto Medina, avrebbe permesso di riproporre almeno sulla carta quegli interscambi sulle fasce e quel gioco arioso che dovrebbero rappresentare le caratteristiche del Messico. Invece, con gli attaccanti accumulati al centro e la fascia destra inesistente (con Osorio bloccato e Giovani stretto vicino a Franco spesso si vede prendere palla largo Torrado!), si è assistito a una ricerca prematura e irrazionale del pallone filtrante diretto alle spalle della copertissima difesa uruguagia. Ancor più un errore quando l’Uruguay giocando a rombo a centrocampo dovrebbe fisiologicamente concedere qualcosa alle sovrapposizioni degli avversari sulle fasce.
Le palle forzate centrali del Messico poi rischiano di causare perdite in zone compromettenti, e dare adito al contropiede avversario, micidiale nel caso dell’Uruguay, come dimostrato sul gol di Luis Suárez. Difesa del Messico che continua a non convincere come concentrazione, e che ha un micidiale punto debole nelle palle inattive: nove volte su dieci la prende un avversario…
Nella ripresa Aguirre ha cercato di rimediare allargando Giovani a destra e inserendo Barrera a sinistra (ma perché esce Guardado?), e qualcosa di più razionale si vede, anche se è un Messico che sguarnisce un po’ il centrocampo e che col passare dei minuti perde lucidità e si accontenta delle notizie che arrivano da Francia-Sudafrica.

Dall’altra parte l’Uruguay. Una di quelle squadre che non entusiasmano nessuno ma con cui devi fare sempre i conti. Impostata su consegne semplicissime e piuttosto arcaiche: sette giocatori che rimangono dietro ad aspettare, sette che conoscono benone il mestiere difensivo, e tre che ripartono, tre col veleno nei piedi. Pazienza, sangue freddo, un po’ di carognaggine (poca però: troppo signore Tabarez in panchina, gente come Lugano risulta non sufficientemente istigata e scarsamente valorizzata nel proprio potenziale criminogeno), ma anche un Forlán sempre più in evidenza come uomo-squadra a tutto campo, realtà già sperimentata all’Atlético. Buona l’idea di Tabarez di sfruttare fino in fondo questa veste del Cachavacha, aggiungendo una punta (Cavani, non in gran spolvero comunque) e arretrandolo definitivamente sulla trequarti.


VALENTINO TOLA

mercoledì 16 giugno 2010

Sudafrica-Uruguay 0-3: 24' Forlan 80' rigore Forlan 94' A. Pereira



SUDAFRICA (4-4-1-1): Khune; Gaxa, Mokoena, Khumalo, Masilela; Modise, Letsholonyane (Moriri dall'11' s.t.), Dikgacoi, Tshabalala; Pienaar (dal 33' s.t. Josephs); Mphela. (Ngcongca, Sibaya, Booth, Thwala, Davids, Parker, Nomvethe, Sangweni, Khuboni, Walters). All. Parreira.

URUGUAY (4-3-1-2): Muslera; M.Perreira, Lugano, Godin, Fucile (dal 25' s. t. Fernandez); Arevalo, Perez (dal 46' s.t. Gargano), A.Pereira; Forlan; Suarez, Cavani (dal 44' s.t. S.Fernandez sv). (Castillo, Caceres, Victorino, Eguren, Abreu, Gonzalez, Scotti, Silva). All. Tabarez.

ARBITRO: Busacca (Svizzera).

NOTE: spettatori. Espulso Khune al 31' s.t. per gioco scorretto; ammoniti Pienaar per comportamento non regolamentare, Dikgacoi per gioco scorretto. Angoli 3-4. Recuperi: 0 p.t., 5' s.t.

Non è bastato al Sudafrica il baccano infernale delle tanto temute vuvuzelas ed uno stadio intero pronto ad incitare i propri beniamini: i Bafana Bafana, mai in partita, sono infatti malamente caduti contro i più organizzati e dotati avversari uruguyani, tornati a vincere in una Fase Finale di un Mondiale dopo ben 20 anni (!).
Un successo netto e mai in discussione per la Celeste, che nell'arco dei 90' ha fatto valere la propria superiorità in ogni zona del campo, mostrando finalmente anche una più che discreta qualità: avevamo già intuito che fosse una formazione compatta dopo aver assistito al pareggio (da sbadigli) a reti bianche contro la Francia, ma ora abbiamo avuto la prova che è in grado anche di fare gioco, grazie soprattutto a questo nuovo modulo che permette di schierare in avanti i tre suoi assi offensivi, Diego Forlán, Luis Suárez ed Edinson Cavani.
Se l'Uruguay ha disputato una partita tatticamente magistrale, grande merito va all'allenatore, Oscar Washington Tabárez, contestato da una parte della critica per l'atteggiamento eccessivamente ostruzionistico assunto nel match d'esordio, ma che ha avuto - come detto - il coraggio di cambiare il modulo e di passare ad un 4-3-3 che poteva sembrare al contrario quasi spregiudicato. Così però non è stato, perchè i giocatori oggi in maglia bianca si sono tutti recioprocamente aiutati, sacrificandosi in copertura e non concedendo alcuno spazio ai sudafricani: umili e precisi dietro, compatti in mezzo, letali davanti, con la capacità di partecipare tutti (a turno) in maniera totale alle fasi attiva e passiva della squadra. Da Lugano (incredibilmente, viste le sue medie, non ammonito!) e Godín, infallibili nei loro interventi difensivi, fino ai due tignosi mediani Arévalo e Diego Pérez (è già la seconda ottima partita consecutiva che gioca il centrocampista del Monaco), per arrivare al trio di attaccanti (Forlán assoluto mattatore, Suárez in crescita dopo il flop dell'esordio, impreciso ma assai volenteroso Cavani).
Il Sud Africa, inizialmente, ci ha quantomeno provato: è stato ordinato, ma di fronte ad una squadra così superiore dal punto di vista tattico-organizzativo, non ha saputo opporsi. Sfortunatamente per gli africani, inoltre, la squadra più organizzata era anche quella che poteva schierare dei campioni: risultato dunque inevitabile.
Apre Forlan con un tiro eccezionale, aiutato da una deviazione amica; nella ripresa la Celeste amministra il vantaggio, sfiora il secondo gol diverse volte e poi lo trova con un dubbio rigore procurato da Suárez e trasformato da Forlán. L'incontro, a senso unico, è di fatto finito lì, il terzo gol è un premio per la corsa e l'abnegazione di Pereira.

ALBERTO FARINONE

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Due giorni fa Mondonico su Sportitalia ha detto una cosa molto interessante riguardante l’Italia. La nostra nazionale non può giocare con l’attacco 3-1 perché dietro quella prima punta sempre marcata c’è bisogno di 3 fenomeni che sappiano fare la doppia fase e abbiano i piedi per servire la punta e andare direttamente al tiro. In pratica se hai Eto’o-Sneijder-Balotelli è un discorso, se proponi Pepe-Marchisio-Iaquinta è tutto diverso. Ma a ben vedere questo discorso è valido per tutte le squadre ed è il vero motivo della pochezza spettacolare di tutte le partite mondiali fino ad oggi. L’attacco 3-1 composto da calciatori medi porta con sé una conseguenza evidente: la punta non ha mai un pallone giocabile fronte alla porta, gli esterni si abbassano troppo perché non sono capaci di infastidire il terzino che si spinge in avanti, la mezzapunta galleggia in un territorio di nessuno, guardato a vista da un centrale difensivo e da un mediano. Messa così, si arriva al blocco totale, come è avvenuto in tutte le partite.
La prima boccata d’aria l’ha portata il Maestro Tabarez, che ha cambiato faccia all’Uruguay, presentatosi all’esordio con un 4-4-2 e un Forlan che si abbassava molto e trasformava l’assetto in un 4-4-1-1 (variabile ancora più difensiva del 4-2-3-1), in 4-3-1-2, usando il buon vecchio “attacco triangolo” (siamo sempre sotto effetto finale NBA) e avendo ragione di un Sudafrica quasi impresentabile.
Grazie alla mobilità e all’intelligenza tattica di Forlan, Cavani e Suarez, l’attacco 1-2 dell’Uruguay era molto mobile, con il triangolo 1-2 che si formava e riformava a seconda dei movimenti della palla, ridefinendo poi un 2-1 quando il Sudafrica ripartiva. In questo modo l’Uruguay ha totalmente dominato la partita ed ha fatto vedere un calcio pericoloso in fase di possesso palla e accorto in quella di non possesso. Il Maestro, che nell’ultima partita vinta dall’Uruguay ai mondiali schierava Francescoli dietro Sergio Martinez e Ruben Sosa, è ripartito dal 1990 per vincere e ipotecare il passaggio del turno.

JVAN SICA

venerdì 11 giugno 2010

Uruguay-Francia 0-0



URUGUAY (3-4-1-2) Muslera; Victorino, Lugano, Godin; M.Pereira, D.Perez (dal 43' s.t. Eguren), Arevalo, A.Pereira; N.Gonzalez (dal 18' s.t. Lodeiro); Suarez (dal 29' s.t. Abreu), Forlan. (Castillo, Silva, Fucile, Gargano, Cavani, Scotti, A.Fernandez, S.Fernandez, Caceres). All. Tabarez.

FRANCIA (4-2-3-1) Lloris; Sagna, Gallas, Abidal, Evra; Toulalan, Diaby; Govou (dal 40' s. t. Gignac), Gourcuff (dal 30' s.t. Malouda), Ribery; Anelka (dal 27' s. t. Henry). (Mandanda, Carrasso, Reveillere, Planus, D.Cissè, Squillaci, A. Diarra, Valbuena, Clichy). All. Domenech.

ARBITRO Nishimura (Giappone).

NOTE espulso Lodeiro al 36' s.t. per doppia ammonizione (c.n.r e gioco scorretto). Ammoniti: Victorino per gioco scorretto, Lugano per proteste, Evra, Ribery e Toulalan per gioco scorretto. Spettatori 64.100. Angoli 0-4. Tiri in porta 4-2. Tiri fuori 3-7. In fuorigioco 3-2. Recuperi 1' p.t.; s.t 3'.

Domenech, pourquoi? Convocazioni astrologiche, hotel extralusso e spogliatoio compatto: contro di lui, però. Nella «prima» della Francia al Mondiale sudafricano, i mille dissidi interni finiscono col ripercuotersi sul terreno di gioco del Green Point Stadium di Città del Capo. Complici - involontari, a dirla tutta - della magra figura transalpina, gli uruguagi di Forlan e poco altro: le lacune della Celeste sono parse evidenti, e non basta certo la garra charrúa ad arginarle, anzi - vedasi, in proposito, l'espulsione di Lodeiro, maturata in venti minuti scarsi di gioco.
Venendo al racconto della partita, balza immediatamente agli occhi la bislacca scelta fatta da Domenech per scavalcare la muraglia umana di centrocampisti eretta da Tabarez: lancio lungo per Anelka, di cui si prende cura l'armadio - e capitano uruguagio - Lugano, uno che di testa ha pochi rivali, ed Anelka non fa certo parte di questo ristretto club. Con il passare dei minuti alla Francia si apre qualche spiraglio, ma l'assenza di idee riduce i transalpini ad una serie di iniziative individuali cui Eupalla nega la grazia: Ribery e Gourcuff ci provano vanamente, Govou neppure quello, ed i polmoni dell'inedita ma efficace coppia composta da Toulalan e Diaby non ringraziano di certo. Tra gli uruguagi si mette in mostra Victorino, abile nello sbrogliare qualche situazione dai possibili risvolti negativi, mentre Forlan deve giocare per due: Luis Suarez è un ectoplasma, sembra il gemello bidone del capocannoniere dell'Eredivisie. Il pareggio «con gli occhiali» che sigilla il primo tempo ci sta tutto.
Perché il risultato si sblocchi è necessario l'ingresso di una punta: ci sarebbe Benzema, peccato sia stato lasciato a casa. Quindi Domenech vira su Henry, che subentra al poco partecipe Anelka (tutto, ma non centravanti nel 4-2-3-1) senza però lasciare il segno. Segue qualche incomprensione tattica con l'ingresso di Malouda al posto di uno spento - e troppo poco carismatico? A Milanello non lo rimpiange nessuno - Gourcuff: Ribery va al centro, in un ruolo a lui poco gradito per sua stessa ammissione ed in cui, difatti, non combina granché. Nel frattempo l'Uruguay ha sì sfiorato il gol con una volée di Forlan, ma è anche rimasto in inferiorità numerica: Lodeiro, ventun'anni certificati da una sciocchezza inammisibile per chi prende parte ad un campionato del mondo, è fuori. L'asso nella manica di Domenech, sfoderato quando ormai al termine manca pochissimo, si chiama Gignac: ci sarebbe da discutere sulla tardiva sostituzione di un impalpabile Govou, del dislocamento di Malouda a destra e di qualcos'altro, ma il recupero si esaurisce attorno ad una punizione dai 25 metri calciata da Henry sulla testa tutta matta del «Loco» Abreu, subentrato a Suarez. A proposito di Suarez: chi ne auspicava una staffetta con Cavani è rimasto deluso, così come gli altri «italiani» facenti parte della selezione uruguagia, tutti lasciati in panchina da Tabarez.

ANTONIO GIUSTO

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Il film dell’era Domenech è un po’ come le commediole sexy all’italiana degli anni ’70: non certo da Oscar ma riproposte continuamente, in particolare nel periodo estivo. Lo specchio di sei anni (per fortuna dei Bleus destinati a finire tra due o più partite) della Francia di Domenech viene riflesso alla perfezione sul terreno di gioco del Green Point di Cape Town, con i Bleus che giocano la loro terza grande competizione con il controverso 58enne in panchina, esordendo ancora una volta con uno 0-0 blando e piuttosto inguardabile: quattro anni fa in Germania fu contro la Svizzera, due anni fa in Austria/Svizzera contro la Romania, quest’anno in Sudafrica contro l’Uruguay.

Il film è il solito: gioco al rallentatore senza alcun cambio di ritmo (se non con qualche tentativo personale fatto più di nervi che di lucidità) e senza alcuna creatività. Si cambia continente e non si ha nulla di nuovo: di fatto, in questi sei anni di gestione la Francia ha giocato quasi sempre così, a parte qualche variazione sul tema comunque mai convincente del tutto. Di fatto, nell’era Domenech si sono viste solo tre prestazioni convincenti (considerando tutte le partite, anche le amichevoli), arrivate però nel giro di pochi giorni nel Mondiale 2006: negli ottavi di finale contro la Spagna, nei quarti di finale contro il Brasile e anche nella finale (persa solo ai rigori) contro l’Italia. Anche allora i galletti iniziarono in maniera pessima il girone, riuscendo però a dare un cambio di rotta dagli ottavi in poi (senza tuttavia raggiungere i livelli del 1998 e del 2000), un cambio di rotta che a meno di clamorose sorprese (e di un livello generale del torneo bassissimo) non vedremo in Sudafrica: allora infatti la squadra in qualche modo era compatta e seguiva il proprio ct (a parte qualche caso, come Trezeguet, che non a caso poi fu decisivo in negativo in finale), mentre quest’anno s’è creato un clima pessimo e che nel calcio moderno non può certo essere vincente, un clima di autogestione con la squadra che (magari anche a ragione) non dà retta ad un Domenech che ha perso totalmente la testa.

In tutto questo ci sono anche limiti evidenti: ben abituati con i vari Deschamps, Makelele e Vieira (il vero Vieira, non quello attuale), i Bleus adesso non hanno più un mediano capace di imporsi con forza a centrocampo e capace di calamitare su di sé un enorme numero di palloni. C’è l’orgoglioso e sempre molto bravo Toulalan, ma avrebbe bisogno di una spalla di maggiore impatto fisico rispetto a Lassana Diarra (assente a questi Mondiali, ma sempre pessimo con la maglia della Nazionale) o rispetto ad Abou Diaby, grandissima incomprensione e incompiuta del calcio moderno: il centrocampista dell’Arsenal è il classico giocatore che promette di regalare prestazioni di altissimo livello, ma che poi a fine partita in fin dei conti non ha combinato nulla di concreto (anche in questa serata è autore di un primo tempo decente, per poi crollare e tornare ai suoi soliti livelli nella ripresa con tanti palloni persi incomprensibilmente). E’ un centrocampo che manca anche di un regista lucido che possa far scorrere il pallone con velocità e in modo pulito: di fatto, nel 4-2-3-1 di Domenech c’è sempre una grande spaccatura tra i mediani difensivi e i trequartisti, spaccatura limitata in parte da Diaby in questa esibizione, ma come detto il centrocampista dell’Arsenal gioca in maniera poco concreta e in fin dei conti risulta mediocre. Il centrocampo poi non gioca con tranquillità, perché dietro c’è anche una difesa che rischia di sbandare in ogni occasione: Gallas non è ai suoi massimi livelli e tuttavia in qualche modo regge, ma è al suo fianco che c’è un buco clamoroso, con i vari Abidal, Escudè, Squillaci e Mexes che non regalano alcuna garanzia.

Oltretutto c’è Domenech a metterci del suo, con una confusione tattica e mentale e l’incapacità di dare un volto a questa squadra: la Francia non ha un gioco, non ha alcuno schema, gioca in modo casuale. Inoltre, nel corso del match non cambia mai marcia e di solito non cambia nemmeno tatticamente (anche se non è il caso di questo match). Pessime anche le scelte degli uomini: Domenech cede alle pressioni dei senatori e preferisce Diaby a Malouda, ma soprattutto continua a dare fiducia ai Go-Go, Govou e Gourcuff. Il primo misteriosamente gioca ai Mondiali e altrettanto misteriosamente gioca titolare (nelle big, un caso simile lo si vede solo con Jonas Gutierrez dell’Argentina), mentre il secondo ormai da 12 mesi con la Nazionale non ne combina una giusta, apparendo un po’ assuefatto da un ruolo da titolare fisso che gli viene sempre e comunque garantita dal tecnico, nonostante le prestazioni del trequartista siano ormai del tutto impalpabile (al contrario, le sue prime presenze con i Bleus erano state promettenti): probabilmente un tecnico sveglio lo avrebbe lasciato fuori almeno in un’amichevole, prima che Gourcuff toccasse il fondo con una prestazione ai limiti del ridicolo contro l’Uruguay (i suoi tentativi nel corso del match appaiono parecchio patetici).

E’ allora la classica prestazione della Francia: tanto possesso di palla, qualche spunto d’orgoglio ma nessuno spiraglio di gioco e enormi difficoltà nel creare occasioni da rete. In tutto il match infatti non si ricordano parate particolari di Muslera, con solo una vera chance per i Bleus, ad inizio partita con l’errore di Govou su uno dei rari spunti di Ribery: il 27enne è un altro argomento da toccare, visto che appare incredibilmente spento sul piano fisico, mai capace di dare un cambio di passo, molto più lento rispetto ai suoi standard di gioco, una difficoltà atletica che pone una questione enorme sul tipo di preparazione effettuata da Domenech in vista dei Mondiali.

In generale il match è assolutamente mediocre per qualità tecnica e per spettacolarità, perché l’Uruguay fa poco più che difendersi e provare a ripartire in contropiede, piazzando qua e là qualche provocazione (magister Diego Lugano in questo), accorgendosi della pochezza dell’avversario solo nella fase centrale della ripresa: in questa fase arriva una grandissima (ma casuale: su rimessa laterale lunga mal controllata da Suarez) occasione per Forlan che mette i brividi ai francesi ma si spenge sul fondo. Un atteggiamento tattico negativo che porta ad uno 0-0 giusto, risultato che aiuta fino ad un certo punto la causa della Celeste, che ha finito per confermare tutti i dubbi e i punti interrogativi che hanno accompagnato la sua qualificazione e il suo avvicinamento ai Mondiali. Tabarez propone qualche nome nuovo, piazzando sulla trequarti Ignacio Gonzalez, già oggetto misterioso al Newcastle (fu insieme a Xisco il “grande colpo” di fine mercato estivo di Wise, ma di fatto non mise mai piede in campo risultando un flop fragoroso) e oggetto misterioso anche di questo match: ha fatto benissimo in Grecia (dicono), ma sembra davvero inadatto per i livelli di un Mondiale (pur in una partita scadente). 0-0 che arriva anche per l’atteggiamento molto chiuso di Tabarez: alla difesa a tre di fatto si aggiungevano sempre i due laterali di centrocampo e gli stessi mediani Diego Perez e Arevalo Rios avevano il compito di coprire e poco più. La fase offensiva è affidata sporadicamente ai due esterni (più Alvaro Pereira che Maxi Pereira) e ai tre elementi offensivi: Forlan ci prova e corre come un matto, ma Suarez e il già citato Ignacio Gonzalez non lo supportano a dovere. Ne esce uno 0-0 scontato (nonostante l’espulsione di Lodeiro e i disperati assalti finali della Francia) e tutto sommato parecchio prevedibile: l’Uruguay dovrà cambiare atteggiamento (anche se non sarà facile), la Francia pure oltre a qualche uomo in campo (anche se andrebbe cambiato anche qualcuno in panchina).

SILVIO DI FEDE

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SONO URU...GUAI!

Rimarrà una delle gare più insipide di questo mondiale, ma la presenza "Charrua" potrebbe regalare altre perle da incastonare, almeno per le prossime due gare. L'Uruguay è questo: non vuole, ma soprattutto non può con i suoi 3 milioni e 400.000 abitanti. Tabarez è come tutti gli umani: gli dai il Real Madrid e ti strabilia, ha in mano l'Uruguay e fa quello che gli concede la bottega, come il buon Parreira qualche ora prima, con buona pace dell'offensivismo "matrice" di fabbrica del "Maestro". La Francia ha invece le colpe maggiori perché vuole ma non può, come quei ragazzini che studiano per ore una lezione in modo ossessivo e ripetitivo ma a conti fatti il risultato è un grande senso di frustrazione al momento di raccoglierne i frutti all'interrogazione.
Transalpini monotematici, "monoffensivi", senza uno spartito da seguire con un individualismo lontano dalle corde della cultura calcistica francese e di una Ligue 1 dove la tattica del "tutti per uno, uno per tutti" è impartita fin dalla tenera età. Anelka, Govou, Ribery, Gourcuff...tutti a incanalarsi nella loro autostrada personale e sbattere alla prima curva dove Diego Lugano (occhi insanguinati già agli inni e sempre sull'orlo della bassa provocazione) e soci li aspettavano.
A proposito: due parole su Gourcuff bisognerà pur spenderle. Va benissimo la stagione scorsa nella quale il bretone si è imposto come uomo chiave di Bordeaux e campionato, conquistandosi in pianta stabile un posto nell'undici titolare dei bleu, ma di questo finale di annata così disastroso per i girondini lui è stato il gran artefice e in nazionale sta mostrando delle mostruosità che lo riportano ai tempi in cui sbarcò a Milanello. Ieri sera è stato qualcosa di veramente imbarazzante riuscendo a sbagliare tutto finché anche il "cieco" Domenech ha dovuto prenderne atto, sostituendolo, anche se solo nell'ultimo terzo del 2° tempo. Mi vengono sinceri dubbi sulla personalità di questo ragazzo a guidare una nazionale oramai orfana da tempo dell'ultimo Maradona visto sui campi di calcio prima dell'esplosione di Messi. Con un Gourcuff in queste condizioni, un Anelka abulico e un Govou marcatamente inadeguato, la partita ha vissuto di qualche raro episodio trasformandosi in un obbrobrio via via che passavano i minuti e candidandosi potenzialmente ad una delle 2, 3 gare più inguardabili di questo mondiale. Il 4-2-3-1 di Domenech abbisogna di interpreti diversi, pescare dalla panchina serve (Malouda incomprensibilmente fuori o fatto giocare in mediana assieme ad un Toulalan encomiabile come sempre, Valbuena a cosa è stato portato), andare a ripigliarsi qualcuno da casa (se fosse possibile) servirebbe ancor di più.

VOJVODA

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È iniziato il gran ballo e quello di cui avevamo paura, o meglio speravamo accadesse (perché unica nostra ancora) solo durante le partite dell’Italia, è accaduto. Nessuna squadra, anche se nettamente migliore dal punto di vista tecnico e fisico, lascia giocare l’1 contro 1 senza un raddoppio del centrocampista in zona centrale e della punta esterna in fascia. Questo porta ad un intasamento della fascia mediana del campo (e a questo eravamo abituati), ma soprattutto ad un isolamento dell’unica punta che deve fare i conti con almeno 3 uomini bloccati. Le premesse della vittoria di Mourinho e del nuovo modello di controgioco c’erano e nessun allenatore è così fesso da non ricorrere ad una tattica poco dispendiosa (l’Inter con una tattica di gioco aperto avrebbe finito le energie al 60’), capace di portare risultati buoni contro tutte le squadre (contro i pari grado il pareggio non lo butti, contro i più scarsi, aspetti l’errore che ti da la vittoria: vedi gol di Marquez). Passi per l’Uruguay con il suo calcio da sempre spezzaritmo e cadenzato e per il Sudafrica, in chiara difficoltà contro il centrocampo messicano, ma se il Messico fa retrocedere fino alla sua area dos Santos e Vela, e la Francia di Domenech invece di girare palla con le mezzeali, le costringe a giocare da mediani, allora il calcio difensivo è davvero un virus inarrestabile. Messe così le cose in questo Mondiale ci saranno pochi gol e soprattutto partite lente, frenate dalla difficoltà di guadagnare spazio libero inserendosi nello stesso. Sagna non ha mai guadagnato il fondo, Ribery non è mai riuscito ad arrivare al tiro, Anelka non ha avuto una palla in corsa. Per me non è un problema solo di Francia, ma di assetti di squadra che annullano gli spazi di corsa e gli scambi lunghi. Resta il fraseggio ballato, giocato a due tocchi. Vuoi vedere che il Brasile…

JVAN SICA