MARCATORE: Iniesta all’11’ s.t.s.
OLANDA (4-2-3-1): Stekelenburg; Van der Wiel, Heitinga, Mathijsen, Van Bronckhorst (dal 15’ p.t.s. Braafheid); Van Bommel, De Jong (dal 7’ p.t.s. Van der Vaart); Robben, Sneijder, Kuyt (dal 25’ s.t. Elia); Van Persie. (Vorm, Boschker, Boulahrouz, Ooijer, De Zeeuw, Schaars, Afellay, Babel, Huntelaar). All. Van Marwijk.
SPAGNA (4-1-4-1): Casillas; Sergio Ramos, Piquè, Puyol, Capdevila; Busquets; Pedro (dal 14’ s.t. Navas), Xavi, Xabi Alonso (dal 42’ s.t. Fabregas), Iniesta; Villa (dal 1’ s.t.s. Fernando Torres). (Reina, Valdes, Marchena, Albiol, Arbeloa, Martinez, Silva, Llorente, Mata). All. Del Bosque.
ARBITRO: Webb (Ing).
NOTE: spettatori 84.490. Espulso Heitinga per doppia ammonizione al 4’ s.t.s.. Ammoniti Van Persie, Puyol, Van Bommel, Sergio Ramos, De Jong, Van Bronckhorst, Heitinga, Capdevila, Robben, Van der Wiel, Mathijsen, Iniesta, Xavi. Recupero 2’ p.t. 3’ s.t.; 1’ p.t.s., 2’ s.t.s.
Dopo l’Europa, il mondo. Come la Germania 1972-1974 e la Francia 1998-2002, anche la Spagna consegue la doppietta fra titolo continentale e mondiale. Si può parlare ufficialmente di un ciclo. Naturalmente lo si vuole anche etichettare questo ciclo, per una questione di comodità, e l’etichetta più in voga è sicuramente quella del “tikitaka”, inteso come gioco propositivo, avvolgente e basato sul possesso-palla non solo come strumento per aprire spazi nella difesa avversaria schierata, ma anche come premessa fondamentale dell’equilibrio difensivo. Si può pensare che, fra nazionale e club, in tutti questi anni, tale stile di gioco si sia affermato come quello più riconoscibile e originale nell’intero panorama europeo.
E questo, si badi bene, è un discorso che viene prima dell’eventuale giudizio estetico, sempre e soltanto soggettivo, che si può avere su una simile proposta. È come per le correnti artistiche: il sottoscritto il cubismo non lo apprezza proprio (anche se si trova sempre un tizio che agita il ditino ammonitore esclamando “ma come, questo è un Picasso!”), ma non può comunque negare la rilevanza che ha avuto all’interno della sua disciplina.
La Spagna del calcio degli anni ’90 e ‘2000 (che trova il proprio momento fondante nella Quinta del Buitre prima e nel Dream Team di Cruijff poi) ugualmente ha creato una propria cultura, l’ha coltivata (al di là delle ricorrenti considerazioni superficiali della stampa specializzata e dei tifosi iberici su cosa è buon calcio e cosa no), l’ha difesa, l’ha affermata, e ha raccolto i frutti che meritava. Tuttavia, per quanto riguarda questo mondiale, non sono d’accordo con chi parla della vittoria di una filosofia.
La filosofia di gioco infatti c’era, ma è stata applicata in maniera convincente così poche volte (sostanzialmente contro la Germania e nei 20 minuti iniziali con il Portogallo) che non si può dire che si tratti di una vittoria della stessa, dell’affermazione di un modello, come avvenne invece nelle ultime due gare dell’Europeo 2008 o nelle vittorie del Barcelona a livello di club. Si può parlare invece della giusta consacrazione di una generazione di calciatori difficilmente ripetibile, tutti accomunati da uno stesso linguaggio calcistico e tutti portati soprattutto a mettere il loro talento al servizio del collettivo. Tre i nuclei fondamentali: quello del vittorioso Mondiale Under 20 del 2000, con Iker Casillas e Xavi (e anche Marchena, ma in panchina), quello emerso verso la metà del decennio, con Fernando Torres, Iniesta, Xabi Alonso e Villa, e infine quello della seconda metà degli anni 2000, coi Sergio Ramos, Piqué, Busquets, Silva, Pedro & C.
Tutti accomunati dalla stessa cultura, segno che qualcosa si è saputo costruire al livello della cantera (nonostante nazionali giovanili spesso raccogliticcie sul piano dell’organizzazione), al di là della straordinaria concentrazione di talento. Son giocatori con le idee chiare, “istruiti” oltre che talentuosi, facilmente portati ad amalgamarsi in base a queste caratteristiche (la Spagna di Aragonés arrivò a giocare a memoria non certo perché Luis stava lì tutto il giorno a organizzare tattiche in laboratorio come un Bielsa…). Del Bosque, la cui gestione ribadisco che continua a non entusiasmarmi, ha avuto se non altro il pregio di rispettare questo patrimonio.
Fatta la dovuta premessina-panegirico, non possiamo non sottolineare la bruttezza di questa finale. Bruttezza merito dell’Olanda, che cercava proprio una partita meno fluida possibile, in un intento prevalentemente ostruzionistico e oltrepassando spesso i limiti che separano il semplice agonismo dal gioco scorretto. Ha fatto sguazzare la Spagna nel non-gioco e ha avuto pure le sue occasioni, in una partita segnata da un arbitraggio discutibilissimo che ha colpito da entrambe le parti.
Confermate le formazioni-tipo, i primi dieci minuti sembrano preannunciare un chiaro dominio spagnolo, con un colpo di testa di Ramos su calcio piazzato dalla destra salvato da Stekelenburg, un tiro-cross sempre di Ramos che attraversa pericolosamente l’area piccola olandese e un sinistro al volo di Villa sull’esterno della rete sul conseguente calcio d’angolo. Ma è un’illusione, perché le Furie Rosse entrano presto nelle sabbie mobili.
L’Olanda anti-Spagna pratica una zona molto poco ortodossa, quasi a uomo, anche se la zona in cui ricevono gli spagnoli rimane comunque il principale riferimento per le marcature. Quando la Spagna ha il pallone, De Jong (più spesso di Van Bommel) è l’ombra di Xavi, Van Bronckhorst segue Pedrito fino ad accentrarsi o salire tantissimo abbandonando la posizione di terzino sinistro e a coprirlo è Kuijt, che segue invece Ramos. Personalmente non è un tipo di difesa che mi faccia impazzire, preferisco una zona pura che prescinda da marcature individuali (ad esempio quella proposta dal Giappone) per difendere in blocco mantenendo sempre le distanze corrette fra i giocatori e fra i reparti, cercando di intercettare le linee di passaggio prima che inseguire l’avversario. Però va detto che l’Olanda interpreta questo suo gioco con notevole concentrazione.
Giocando praticamente uomo contro uomo, il primo duello perso rischia di farti trovare tutto scoordinato col resto della squadra, però gli olandesi duello dopo duello riescono ad impedire alla Spagna di fare il suo calcio, spesso e volentieri ricorrendo alla violenza. Anche questo va riconosciuto, soprattutto di fronte a precedenti come Svizzera e Paraguay che hanno anche loro annullato il gioco spagnolo, ma in maniera nettamente più pulita e tatticamente raffinata.
Fra entrate intimidatorie e proteste continue, è l’Olanda più “sporca” che mi sia capitato di vedere da quando seguo il calcio. Fra le tante prodezze di una partita chiusa con nove ammonizioni (!) e un espulso nelle file oranje, allucinante l’entrata a tacchetti spianati di De Jong sul petto di Xabi Alonso, che già nel primo tempo avrebbe dovuto lasciare l’Olanda in dieci, tanto più quando avviene sotto gli occhi di Webb situato proprio a due passi. A questo (e a un giallo scampato da Sneijder, che coi tacchetti ci va sulla coscia di Busquets) durante i 120 minuti, e non proprio verso la fine, si sarebbe potuta anche aggiungere una seconda ammonizione per Van Bommel, francamente sgradevole per la reiterata durezza delle entrate e gli atteggiamenti sempre antipatici tanto verso i giocatori avversari come verso l’arbitro.
Non sarà ortodossa, ma comunque l’Olanda in questo modo riesce ad accorciare tantissimo lo spazio giocabile, come non era riuscita a fare la Germania. A differenza dei tedeschi pressa subito i difensori spagnoli, impedisce ad Iker di giocare corto dal fondo e soprattutto non concede lo spazio tra le linee. Anche se attraverso la zona imbastardita di cui sopra, l’Olanda toglie alla Spagna la chiave tattica della gara contro la Germania, ovvero gli appoggi sulla trequarti di Pedrito “alla Silva” e di Iniesta.
Gli oranje spezzano del tutto la continuità d’azione spagnola (nemmeno due passaggi di fila, zero cambi di gioco), e portano la gara nel terreno prediletto, rendendola irregolare e nervosa.
Poi si riesce pure a tenere palla un po’ di più, con Stekelenburg che non ha nessuna fretta a cincischiare passandosela coi difensori (anche questo fa brodo nella battaglia per assicurarsi il controllo del tempo oltre che dello spazio, le due dimensioni fondamentali del gioco), ma soprattutto riesce ad attivare Kuijt e Robben in zone più avanzate. Un fattore di stress notevole per la Spagna, che per contenere il buon Arjen (cervello calcistico limitatissimo, ma gambe e piedi cui è quasi impossibile stare dietro) deve mandare dai due ai quattro giocatori (!), fra i ripiegamenti di Iniesta e Pedrito in aiuta a Capdevila e gli slittamenti laterali di Xabi Alonso e Puyol.
E Robben nel recupero si rende protagonista del primo avvicinamento serio alla porta di Casillas, classico movimento a rientrare sul sinistro e conclusione da fuori verso il primo palo deviata in angolo.
La ripresa testimonia ancora di più come l’Olanda si trovi comoda in una partita inguardabile. Della Spagna non si hanno notizie, mentre gli arancioni esaltano il proprio ostruzionismo fino al punto di trasformare l’ossimoro in realtà, inventando la “sportività antisportiva”. Sempre il mitico Van Bommel: la Spagna sta attaccando sulla trequarti avversaria, butta il pallone fuori per far soccorrere un giocatore, e a quel punto Van Bommel non solo lo restituisce lontanissimo (cosa che purtroppo fanno tutti), ma evita apposta di restituirlo a Casillas, per destinarlo invece, con un sapiente tocco d’esterno in fallo laterale, vicino all’area spagnola, per dare agli olandesi il vantaggio di poter salire a pressare la rimessa. Il labiale di Xavi, colto dalle telecamere e rivolto proprio all’ex compagno blaugrana, è inequivocabile: “y también va a presionar, ¡mamón!”.
Si cita quest’episodio giusto per passare il tempo, perché non succede nulla, almeno fino al 61’. È un classico di queste gare che chi inizia con l’idea di fare la partita e si veda frustrato alla fine sia più propenso a cadere nelle distrazioni e concedere l’episodio letale. Avrebbe potuto esserlo la fuga di Robben, ispirata da un lancio di Sneijder che coglie la difesa spagnola larga al centro: Arjen saluta tutti, ma non è sufficientemente freddo davanti a Casillas. Uno degli episodi decisivi della serata.
Una gara che col passare dei minuti comincia ad aprirsi, perché influisce la stanchezza. L’Olanda può sempre meno praticare quel gioco di duelli intensissimi e di pressione individuale asfissiante (più dispendioso di una zona ben fatta). Quindi ripiega mantenendo più riconoscibili le due linee di difesa più riconoscibili, presidiando più che che andando a caccia dell’avversario, ma gli spazi aumentano, è fisiologico.
Questo cambia anche le esigenze degli allenatori: è un momento in cui ci si può giocare maggiormente la carta della velocità e degli uno contro uno, e praticamente tutti i cambi risponderanno a questa logica. La prima mossa è di Del Bosque, con Navas al posto di Pedrito (che certo non ha replicato la brillante prova con la Germania). Il sevillista ti dà meno soluzioni tattiche, ma è più dotato. Da lui nasce l’occasionissima che Villa, servito da un’incredibile ciccata di Heitinga, spreca sottoporta al 69’. Anche Van Marwijk ragiona così, velocità e dribbling, quindi dentro lo spettacolare Elia.
Ramos al 76’ fallisce un’altra ghiotta occasione (su un calcio d’angolo non lo marca nessuno ma lui di testa manda sopra la traversa), al 77’ Iniesta rischia per una reazione su Van Bommel, ma la bomba è all’82’, su un casuale ma affilatissimo contropiede olandese: ancora Robben sbuca e si beve tutti i metri di vantaggio di Puyol, va come un treno ma non riesce a dribblare Casillas. Episodio piuttosto sospetto, perché Puyol allunga un braccio su Robben lanciato, sarebbe trattenuta ed espulsione, ma l’olandese resta in piedi (molto sportivo nell’occasione, o forse solo pienamente convinto di poter segnare) e scappa.
Altri cambi all’insegna del “ci sono gli spazi, giochiamocela”. Cesc per Xabi Alonso è giusto, nell’intento di dare una proiezione più verticale al gioco spagnolo. Idem Van der Vaart per De Jong nel primo tempo supplementare, al 99’: De Jong è già ammonito, poi la squadra è stanca, non può accorciare più come prima, allora tanto vale mettere nel cuore del centrocampo il madridista, che certamente aumenta le possibilità di rilanciare l’azione.
Con questi spazi nei supplementari la gara comincia a pendere leggermente verso la maggior qualità della Spagna (che reclama un rigore su Xavi al 91’: a me non sembrava tale, poi la moviola della RAI fatta da un ex-arbitro dice che invece c’era, e allora non so cosa pensare), grazie anche alla freschezza di Cesc e Navas. Cesc si mangia un gol al 94’ su un contropiede che permette a Iniesta di smarcarlo davanti a Stekelenburg: errore analogo a quello di Robben nei tempi regolamentari, scarsa freddezza.
Il secondo tempo supplementare vede l’ingresso di Torres al posto di Villa, anche questo giusto perché il Guaje non ne ha più e soffre comunque tutta la serata nella posizione di punta “troppo unica", costretto eccessivamente ad appoggiare spalle alla porta e mai liberato nelle percussioni che preferisce, partendo dalla fascia o pochi metri fuori dall’area.
Dai e dai, l’Olanda rimane in dieci uomini: secondo giallo al 106’ per Heitinga, nemmeno il più cattivo degli olandesi (poi Webb grazierà Robben, a norma meritevole anche lui della seconda ammonizione per aver concluso a gioco già fermo), ma sicuramente l’anello debole della difesa. Giocatore fisicamente esuberante, dotato pure di discreta tecnica, ma con letture difensive che troppo spesso lasciano a desiderare. Meglio, molto meglio, Mathijsen, il migliore in campo per gli olandesi: solitamente snobbato e accompagnato dall’ingeneroso ritornello “eh, ma al suo posto un tempo c’era Krol”, il mancino dell’Amburgo ci mette concentrazione, tempismo, sobrietà e in alcuni momenti persino eleganza, mantenendosi su standard di gioco pulito alieni a molti dei suoi compagni.
A quattro minuti dalla fine Iniesta entra nella storia, al termine di un’azione confusa e di nervi tipica di queste partite quando arrivano ai supplementari. C’è anche un siparietto di protesta degli olandesi, che reclamano a ragione per un calcio d’angolo clamorosamente non visto, ma avvenuto quasi due minuti prima…
VALENTINO TOLA
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FURIE...COMMOSSE!
Vince la Spagna, come da pronostico. Vince la finale, soffrendo non poco l'Olanda che gioca forse qui la sua migliore partita: sicuramente la più ordinata. Van Marwijk abbozza una strategia iniziale perfetta non concedendo mai il gioco tra le linee agli spagnoli. Certo, a mio parere, avvantaggiato dall'assenza di una punta centrale (Torres o Llorente) forte fisicamente, occupando maggiormente i due centrali Heitinga e Mathijsen, due onesti mestieranti che invece hanno fatto un figurone. Bravo van Marwijk, inferiore certamente per qualità e mezzi, a cercare di muovere la partita proponendo idee vere come l'entrata in campo di Elia a sinistra e soprattutto van Der Vaart per de Jong e la riproposizione di una specie di 4141 che aveva funzionato in semifinale contro l'Uruguay. Le occasioni per andare i vantaggio gli arancioni l'hanno avuta, anche evidente, con Robben. E solo essere arrivato a giocarsi una partita che poteva essere decisa da un episodio certifica della bontà del lavoro del CT olandese, fin qui soprattutto agevolato da un tabellone non impossibile. La Spagna vince proponendo una novità calcistica come nessuno, a livello di nazionale, nel football moderno. Una diretta conseguenza del lavoro svolto in questi anni dal Barcellona, a partire dall'era Cruijff in poi. Tuttavia se l'atteggiamento del Barça è volto alla ricerca di un'alternativa credibile pur nella continuità della situazione chiave di possesso palla, la Spagna si è molto avvitata su se stessa, per l'insistenza di del Bosque su tre-centrali-tre (Xavi -immenso, l'uomo chiave di questo tiki-taka-, Xabi Alonso e Busquets) schierati in mezzo al campo. Tante, troppe palle giocate sui piedi e non nello spazio e tentativi di verticalizzazioni elementari, facilmente leggibili. Il coraggio di giocare con tre punte vere (quindi con Villa e Pedrito o Jesus Navas sui lati e un centravanti "fisico" in mezzo) Del Bosque non l'ha mai avuto, piegandosi alla certezza del possesso palla: il piede di Casillas lo ha salvato da una delle sconfitte più imbarazzanti di sempre (da non scordare il lusso di Fabregas in panchina). Epperò ha vinto e osservando la traiettoria di tutto il torneo è sicuramente giusto così.
CARLO PIZZIGONI